Beata Vergine del Soccorso (Santuario Parrocchia)

Descrizione

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STORIA DEL SANTUARIO

Le origini

Il Borgo è detto di San Pietro perché i primi edifici sorsero su terreno di proprietà del Capitolo della Metropolitana dedicata appunto a S. Pietro. Dove sorge la chiesa, nel sec. XIV vi era una porta che, chiusa nel 1327, fu sostituita da un cancello. Su queste indicazioni si innesta la tradizione che fa luce sulla origine della devozione a questa Madonna e, di conseguenza, a questo luogo di culto; esistono due diverse versioni peraltro riconducibili l’una all’altra.
Agli inizi del ‘500 alcuni ragazzi avrebbero appeso a una arcata delle mura una immagine della Madonna, di carta, che poi persone adulte vollero sostituire con un’altra. La cosa provocò dissensi fino a che un pittore, Filippo Ostesani, indicò come idonea una statua in legno colorato della Madonna con Bambino che un certo Michele Bisiliero, borghigiano, avrebbe volentieri donato.
Il Cavazzoni nel ‘600 racconta che due popolani del luogo, tali Alessandro Salani e Pietro Dalla Barba, dopo aver ottenuto il permesso di ripulire il luogo dalla terra, appesero al cancello che aveva sostituito la porta, una immagine su carta della Madonna attorno alla quale promossero una grande devozione. Uno dei due pensò ad un certo momento di sostituirla con una più degna senza la preventiva approvazione del compagno il che provocò discordia fino a che l’intervento di un buon pittore, Filippo Astesani, valse a calmare gli animi utilizzando una immagine lignea di Madonna con Bambino di un tale Michele Biselieri, del Borgo.

Statua lignea del sec. XV

Questa immagine, quella ancor oggi venerata, è una scultura di quasi un metro di altezza, scolpita in maniera abbastanza rozza e ridipinta più volte nel corso del tempo. Risale al secolo XIV o forse anche al XIII. Anticamente le due figure della Madonna e del Bambino avevano in mano rispettivamente una rosa d’argento e una d’oro.
In seguito il gruppo trovò posto in una piccola cappella appositamente costruita. Pare che ciò sia avvenuto nel 1520 con la formazione di una Confraternita di popolani che si erano riuniti sotto il titolo della B. Vergine del Soccorso seguendo le Regole di San Giobbe e che dopo poco tempo erano già venticinque. 

Il voto

La devozione alla Madonna del Borgo sarebbe forse rimasta nel suo ambito di origine se non fosse intervenuto un fatto che provocò una sua repentina diffusione ponendola alla generale attenzione: la peste.
I primi casi del morbo che nel 1527 solo a Bologna si dice provocasse 12.000 decessi, si verificarono proprio nel Borgo di San Pietro con la morte di un prete secolare, Don Sigismondo e con lui tutti i suoi familiari, il che stava ad indicare che l’epidemia attecchiva e stava dilagando.
I devoti ricorsero allora all’aiuto della B. Vergine facendo una grande processione nella seconda domenica dopo Pasqua,
 vestiti di sacco in grande umiltà e pregando con la Orazione indicata da papa Giovanni XXII per la peste del 1399 “Stabat Mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa…
Ottenuta la liberazione dal morbo, si diede alla Madonna del Borgo il nome di “Madonna del Soccorso” e si fece voto di portare ogni anno nello stesso giorno la immagine in processione dal Borgo fino a
 S. Rocco.
La tradizione iniziata nel 1528 e confermata nel 1574, dura ancora oggi sia pure con itinerario abbreviato; fino al 1914 rimase come alle origini poi, dopo l’interruzione della guerra 1915-’18, riprese nel 1919 circoscritta ai confini della parrocchia di S. Maria della Mascarella fino al 1959.
Dopo l’erezione del santuario in parrocchia propria, avvenuta il 7 ottobre 1958, fu ristretta alla sola zona del Borgo. La devozione era sostenuta anche grazie alla sollecitudine verso questo luogo delle massime autorità ecclesiastiche che concessero speciali Indulgenze, come ad esempio il Pontefice Gregorio XIII, il bolognese Ugo Boncompagni.
L’antico santuario
Dopo la liberazione dalla peste la devozione all’immagine della Beata Vergine del Soccorso si estese a tutta la città, e questo contribuì ad incrementare la frequentazione del luogo e insieme le entrate di carattere economico. Queste permisero un ampliamento della Chiesa fino a che, nel 1581, si diede alla stessa quella definitiva struttura conservata fino alla sua distruzione durante l’ultima guerra 1940-’45.
Frattanto eminenti famiglie bolognesi avanzavano domande di giuspatronato, accolte favorevolmente da parte della compagnia con l’assegnazione delle varie cappelle. La Chiesa ne contava cinque, due per lato più quella maggiore con la sacra immagine.
«Sull’altare maggiore, entro una nicchia che si apriva in un frontale, si conservava il venerato simulacro della B. V. del Soccorso. La nicchia, protetta da un cristallo, era in legno intagliato e dorato, dipinto con teste di serafini; lateralmente esistevano due angeli, di stile barocco, in legno dorato, librati in volo e recanti ciascuno una cornucopia da cui uscivano tre portaceri; sopra la nicchia altri due angeli, pure in legno dorato e intagliato, reggevano uniti una corona di fiori» (G. Fanti-G. Roversi, 1975).
La costruzione del 1581 avvenne su progetto dell’architetto Domenico Tibaldi, bolognese (1541-1583), e si protrasse fino al 1584. Dinanzi alla facciata era un portico a tre arcate sopra il quale era l’oratorio dove si riunivano i membri della compagnia dedicata alla Natività di Maria Vergine. Essendo addossata alle mura, la Chiesa risultava appiattita cioè più larga che lunga; misurava m. 12,16 in lunghezza e m. 18,24 in larghezza ma nel 1840 si ottenne il permesso di allungarla dalla parte absidale oltre il confine delle mura.
Un campaniletto a vela fu sostituito nel 1809 da un campanile vero e proprio che però fu fatto erigere dai devoti del Borgo in quanto la confraternita, il 1 agosto 1798, con le leggi napoleoniche, era stata soppressa.
Il santuario invece, proprio perché tale, potè rimanere aperto al culto.
La Chiesa ormai completamente arredata e con grandissimo decoro, era pronta per la sua consacrazione che ebbe luogo il 28 agosto 1611.
L’anno successivo, nella memoria del “Voto” e della processione ricorrente la seconda domenica dopo Pasqua che nel 1612 cadde il 6 di maggio, la Madonna venne incoronata per mano del Card. Legato Maffeo Barberini che poi salì al soglio pontificio col nome di Urbano VIII.
La cerimonia ebbe luogo nella basilica di San Petronio addobbata a festa, gremita di tanta gente che la processione potè passare a stento. La venerazione alla Madonna del Borgo era infatti pari a quella per la Madonna di San Luca.
«Numerosissimo popolo riempiva tutta la piazza, finestre attorno, sala del Podestà e sino sopra i coppi ed in piazza non vi erano carrozze… con suono di Trombe, Tamburo, Campane e sbaro di artiglierie e con grandissimo applauso di tutto il popolo» (Bollettino dell’Archidiocesi di Bologna, 1912).
Sul capo della Madre e del Figlio furono poste due corone d’argento e in parte d’oro tempestate di pietre dure, dono dell’associazione o Arte dei Macellai che avevano scelto la Madonna del Borgo come loro speciale protettrice.
L’avvenimento della incoronazione fu immortalato da Francesco Brizzi ( 1583-1623) in un dipinto che si trova nella Cappella di S. Pietro Martire in San Petronio già spettante all’Arte dei Macellai. Con la stessa solennità fu celebrata la prima ricorrenza centenaria del 1712.
La Chiesa fu affrancata dalla dipendenza alla parrocchia di S. Maria della Mascarella il 17 Febbraio 1817 divenendo santuario arcivescovile.

La ricostruzione

Distrutto nel corso dell’ultima guerra, il 5 giugno 1944 vi perdette la vita anche il suo rettore Don Arturo Giovannini che lo reggeva dal lontano 1907.
La ricostruzione fu affidata all’architetto Luigi Vignali e la sacra immagine, rimasta miracolosamente illesa, dopo aver fatto il giro di tutti i rioni della città, perché ovunque venerata, fu nuovamente insediata il 25 settembre 1965 e nuovamente incoronata il 25 aprile 1966 essendo parroco Don Andrea Biavati.
La corona fu dono dei macellai. Essi avevano il privilegio di portare il baldacchino durante la processione del “voto” dal santuario fino a metà di via del Borgo di San Pietro, mentre la compagnia di San Rocco aveva l’incarico nel tratto dalla chiesa di S. Cristina di via Pietralata fino a S. Rocco e, nel ritorno, da S. Rocco fino al monastero dei Santi Ludovico e Alessio di via del Pratello.
L’edificio, iniziato nel 1948 e completato nel 1964, risulta a pianta centrale sormontato da una cupola fornita di lanterna entro la quale ha trovato posto una statua in terracotta della Madonna dello scultore Cesare Vincenzi a ricordo della Consacrazione dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria. Una lapide ricorda l’avvenimento la cui iscrizione fu composta da Mons. Mario Serrazanetti che ne compose altre a significativo ricordo delle tappe più importanti della ricostruzione.
«All’esterno la costruzione è interamente rivestita di mattoni a vista, con basamenti e cornici in arenaria; sia nella fronte che nei fianchi la chiesa presenta un prospetto monocuspidato con una finestra circolare al centro di ognuno, la quale, assieme a una serie di occhi nel tamburo della cupola, fornisce abbondante luminosità all’interno» (G. Fanti-G. Roversi, 1975).
Un portico a cinque arcate addossato alla facciata lo completa.
Sopra la porta è l’emblema della Basilica Lateranense alla quale il Santuario fu aggregato il 28 luglio 1726 da parte di papa Benedetto XIII, il quale in passato aveva predicato nella Chiesa del Borgo. L’aggregazione fu confermata nel 1744 da Benedetto XIV, il bolognese Prospero Lambertini, con l’obbligo di chiedere il rinnovo ogni 15 anni e da Pio VII nel 1807; è stata confermata in perpetuo nel 1962.
Il campanile, anch’esso rivestito di mattoni a vista, si erge isolato dalla chiesa e alto 25 metri.
«L’antico simulacro della B. V. del Soccorso è conservato entro una nicchia in marmo bianco di Carrara che si apre al centro di un frontale in onice inserito nel 1972 entro la grande ancona di pietra serena fiancheggiata da due figure simboliche in legno del sec. XVII» (G. Fanti-G. Roversi, 1975).
Internamente sono due le cappelle laterali oltre la maggiore; sopra l’altare di sinistra è una tela di Cesare Vincenzi del 1964 mentre su quello di destra è una tela di Amleto Montevecchi (1878-1964). Del primo sono due statue di terracotta rappresentanti i Santi Pietro e Paolo poste a lato della porta di accesso alla Chiesa. All’ingresso del presbiterio, nei due lati contrapposti, due angeli dorati attribuiti di recente al Mazza e provenienti dalla Chiesa di San Giorgio in Poggiale.
La cappella maggiore è stata ultimata nel 1964 per la munificenza di una Azienda bolognese, la Buton.
Sui pilastri della chiesa sono apposte le formelle in rilievo della Via Crucis opera dello scultore Cesare Vincenzi. Della ricca chiesa del passato rimane un ” Cristo deriso” di Bartolomeo Passarotti collocato oggi nella nuova, racchiuso in una ancona lignea ricavata da una cassa d’organo che era in San Giovanni in Monte, all’interno di una cappella posta a destra dell’ingresso, la “Cappella dei Caduti”, dedicata ai 25 sacerdoti della diocesi di Bologna rimasti uccisi durante l’esercizio del loro ministero nell’ultimo conflitto bellico. Due lapidi poste alle pareti laterali della Cappella contengono i nomi dei 25 sacerdoti caduti e la seguente epigrafe: “Il sangue dei sacerdoti bolognesi che caddero nella seconda guerra mondiale fra le macerie delle chiese e delle case e sotto i colpi dell’odio di parte o eroicamente nell’esercizio del ministero sia pegno al mondo di fraterna concordia cristiana nel nome di Gesù Re della Pace. Il Collegio dei parroci urbani, 1966”.
Fra l’altro, nella vecchia Chiesa, vi era un crocifisso duecentesco che si diceva miracoloso trasferito qui al tempo delle soppressioni napoleoniche quando la Chiesa di San Francesco fu chiusa. Salvatosi dalla guerra, rimase nel Santuario fino al 1950 e quindi portato nella Pinacoteca di Bologna.
La Chiesa di oggi è tuttavia ben corredata di opere d’arte provenienti per lo più da altri luoghi, come ad esempio il bel crocifisso del XIV-XV secolo, pare di Pietro Lianori, che era nel convento di S. Giovanni Battista dei Celestini fino alla fine del ‘700; passò poi in Pinacoteca che lo diede in custodia ai santuario nel 1950.
Il Card. Arcivescovo Giacomo Lercaro procedette alla Consacrazione della Chiesa l’8 settembre 1964 amministrando pure il sacramento della Cresima e usando per la prima volta, nella celebrazione del rito, la lingua italiana.
Superiormente all’antica Chiesa era un magnifico oratorio della Compagnia della B. Vergine del Soccorso, ricco per affreschi di Gioacchino Pizzoli (1651-1733) che aveva lavorato anche nella chiesa sottostante e di dipinti fra i quali una Pietà dei Francia; anch’esso logicamente ebbe in sorte, sotto i bombardamenti, la distruzione totale.
II santuario è giuridicamente riconosciuto dallo Stato Italiano e quindi civilmente.

Tradizioni che continuano

A partire dal 1988, per un accordo fra il rettore di San Rocco e parroco della Grada e il parroco del santuario della Madonna del Soccorso, si è ripresa la consuetudine di portare l’immagine processionalmente alla Chiesa di San Rocco nel Pratello.
Viene indetto un ottavario che inizia la II Domenica dopo Pasqua per concludersi la III coinvolgendo la Chiesa di San Rocco alla quale ci si reca partendo in processione dalla Piazza S. Francesco e percorrendo via del Pratello. Tutto ciò avviene secondo i canoni di festa popolare, quasi una sagra paesana che interessa tutto il rione e ha rinomanza anche fuori di esso per la plurisecolare usanza di trasportare la Madonna da un capo all’altro della città consegnandola all’affetto di tutti pronti a sentirla come loro proprietà.
Su questo vigilavano i borghigiani che, nel loro temperamento sanguigno, usavano toni ed espressioni in vernacolo che sono stati tramandati nei secoli:
“L’è nostra la Madona!” e gli altri di rimando: “L’è nostra cum l’è vostra!” e ancora:
“Santa Marì l’è nostra!” volendo far intendere che l’immagine era stata solo prestata.
Nei tempi andati, durante la festa la consueta sobrietà e parsimonia veniva messa da parte come testimonia questa breve poesia di A. Bulgarelli:
« Omn e donn, sgnourì, puvrétt
j ein tott in gran da far
pader, mader, nunn, tusétt
la Madona a festeggiar.
Cossa importa se l’arzdòura
per rimpir ed tourta el rol
l’è andà al Mont a impgnar d’bon’oura
caldareini e cazzaròl!
“L’è dè d’baldoria” dis la nona
l’è totta nostra la Madona»
che tradotta suona così: Uomini, donne, ricchi e poveri, padri, madri nonni e nipoti, si dan tutti un gran daffare. Cosa importa se la madre di famiglia per poter riempire le mole di torta ha impegnato al Monte paioli e casseruole? Oggi è giorno di baldoria, dice la nonna, è tutta nostra la Madonna!
o come annotava il Testoni «Faranno poi domani economia – ma per quel giorno non vogliono pensieri!»
Pure la Madonna dovrebbe partecipare alla straordinarietà di quei giorni di festa infatti: secondo una clausola legata al dono di un prezioso monile che nel 1758 la marchesa Camilla Riguzzi Vittori fece alla B. Vergine del Soccorso, ricco di ben 172 diamanti, questo dovrebbe adornare l’immagine ogni volta che essa viene esposta al pubblico.

Fonte: http://www.parrocchie.it/bologna/beataverginesoccorso/

Foto di copertina: Marcello Karra fotografia

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