Ss. Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino (Santuario Parrocchia)

Descrizione

Descrizione

I primi documenti storici sulla costruzione della chiesa dei Santi Martiri sono gli statuti della Confraternita omonima, dai quali si apprende che nell’aprile del 1593 fu fabbricata una chiesa a cura dei Signori Pietro Mazza, Leonardo Lo Faro, Luigi Bonaccorso e Andrea Bonanno. Da questa notizia, che ci dà il Bonanno nelle annotazioni alla sua “VITA DEI TRE SANTI ALFIO FILADELFO E CIRINO”, pubblicata intorno al 1830, per averla egli letta negli statuti su indicati, si ricava che già nel ‘500 era molto diffuso e vivo il culto dei nostri santi, e la confraternita, giuridicamente costituita nel marzo del 1612, era divenuta fiorente se il Vescovo di Catania nell’aprile del 1618 concedeva ai membri di essa l’indulgenza perpetua.
Il 7 gennaio 1650 il vicario generale della diocesi, Francesco D’Amico, in sede vacante, dava licenza di allargare la chiesetta esistente: la nuova struttura doveva apparire ampia e di certa sontuosità se il buon latinista, autore del distico che ancora si legge sull’architrave della porta maggiore, la indica col termine “Templa Alta”, evidentemente in rapporto alla precedente, della quale, l’accresciuto culto e il maggior numero di fedeli, richiedevano l’ampliamento.
La nuova chiesa nel 1655 doveva essere pressocché compiuta e la relazione del vescovo Antonio Gussio di quell’anno ricorda tra le quattro confraternite “piorum virorum” esistenti in Trecastagni quella “Sanctorum Alphii et Cyrini in propriis eorum ecclesiis”; la data indicata nel frontone, 1662, evidentemente doveva riferirsi al completamento della facciata.
L’epigrafe nella sua incisività elimina ogni dubbio sulla infondatezza della etimologia di Trecastagni come derivazione da “TRES CASTI AGNI” perché l’autore distingue bene i Tres Casti Agni da TRICASTANEIS, cui conferiscono splendore e buoni auspici.
Ecco l’epigrafe:

D.O.M.
ALPHIUS HAEC PHILADELPHUS
AMANT TEMPLA ALTA CYRINUS
TRES CASTI AGNI DANT ASTRA
TRICASTANEIS
1662.

Nel corso del diciottesimo secolo la chiesa viene costantemente ricordata sia nelle relazioni delle visite pastorali sia dal cronista di Pedara, che scrive intorno agli anni trenta di quel secolo: “A capo della terra sopra al settentrione si scorge la chiesa delli gloriosi martiri e fratelli SS. Alfio Filadelfo e Cirino, di cui in questa a 10 Maggio si celebra con devoto brio la festa alla quale vi è numeroso concorso di gente forestiera “. Egli aggiunge che la Chiesa “ha buone rendite, una numerosa confraternita “ed è sacramentale”.
Il fatto poi che il vescovo nel 1697, aderendo alle richieste del popolo e del principe, proclama i santi martiri Patroni della “terra trium castanearum”conferma la esistenza della chiesa ai primi anni successivi al terremoto, evidentemente restaurata negli eventuali danni, e la grande diffusione del culto verso i santi anche nei borghi vicini.
Pur ad una sola navata la chiesa ha cinque altari, il maggiore e quattro laterali; il Bonanno scrive che nel giorno della festa le messe che i fedeli ‘fanno celebrarvi sono tante che neppure per un istante vi resta vuoto alcuno dei cinque altari “.
Nell’800, grazie alle offerte dei fedeli e alle rendite di cui l’amministrazione dispone, si succedono notevoli ampliamenti e miglioramenti nelle fabbriche e negli arredi. Nel 1857, infatti, viene costruito il campanile, mirabilmente inserito nell’insieme gradevole del prospetto, su progetto del concittadino Giuseppe Torrisi; nel 1878 e 1884 si rende necessaria l’aggiunta delle navate laterali, del Crocifisso prima e del Sacramento poi, per accogliere più agevolmente i devoti in numero sempre crescente.
Agli inizi di questo secolo la chiesa pressappoco si presentava come oggi la vediamo nelle linee architettoniche e nella decorazione, con gli altari in marmo policromo, il cappellone maggiore rinnovato. Alla costruzione della navata del Crocifisso contribuì generosamente il dr. Sebastiano Nicolosi Zappalà; l’artistica porticina del tarbenacolo dell’altare maggiore, raffigurante la Cena di Emmaus, è opera di Francesco Pennisi di Acireale, del 1876; gli stucchi sono di Francesco Grasso, tutta la decorazione di Eugenio Timmoniere, le dorature di Giuseppe Greco, tutti acesi; la porta della nicchia dei tre simulacri è del fine artigiano locale Antonino Toscano, autore pure nel 1910 del pulpito in legno scolpito, dorato anch’esso dal Greco.
Precedentemente la nicchia, come scrive il Bonanno, era chiusa da “indorata tenda”, che scendeva a velare i simulacri “dopo essere stati riposti con maestrevole magistero ad argani nella loro nicchia”.
Ecco perché ancora oggi l’apertura della porta per l’apparizione delle statue è detta la “svelata dei santi”, che fino ad una trentina di anni addietro avveniva al canto del “gloria” nella messa solenne intorno alle ore undici del giorno 10.

Nel 1929 si completa la pavimentazione di tutta la chiesa in marmo bianco e nero in analogia col pavimento dell’abside, in formelle esagonali, in una delle quali si legge:

PER DEVOZIONE DEI CON
ROSARIA NUCIFORO
ED ANTONIO RAPISARDA
L’ANNO 1895

La chiesa nel suo complesso mostra evidenti i segni dei diversi momenti di interventi ed ampliamenti; e tuttavia l’insieme appare abbastanza unitario. La mancanza del transetto è frutto della forma originaria ad una sola navata, con soffitto a botte interrotto da lunette decorate e sostenuto da possenti pilastri.
Rigorosamente unitaria è la facciata, tripartita da paraste in pietra lavica, chiusa da cornicione aggettante e da un timpano triangolare dai richiami classici, terminante anch’esso con cornicione litico e sormontato da graziosi pinnacoli a gruppo nel comune intreccio di pietra bianca e grigia. I richiami gotici del campanile ottagonale non contrastano con gli altri elementi dell’intero prospetto, grazie ai riferimenti ed ornamenti in pietra dell’Etna e da taglio. Questo è adorno di tre ricchi portali in pietra, dei quali quello centrale attrae l’attenzione per le colonne scanellate dai capitelli corinzi, sormontato da grande finestra, che quanto prima sarà ornata da vetri istoriati , raffiguranti i santi Martiri.
Nella navata sinistra si ammira il portale in pietra con l’emblema dei martiri, certamente più antico e verosimilmente appartenuto alla prima chiesa di ridotte dimensioni.

Se tutto l’interno della chiesa appare arioso, bene armonizzato nelle decorazioni e nelle proporzioni, luminoso ed accogliente, è il cappellone centrale ad attirare e conquistare l’attenzione dei fedeli e dei visitatori, aperto e delimitato dal grande arco trionfale. Al centro di esso domina un’aquila dorata che sostiene uno scudetto con la scritta:

                                               D.O.M.
INVICTIS FRATRIBUS
ALPHIO PHILADELPHO
ET CYRINO.

Arco ed aquila fanno da raccordo tra la semplicità della decorazione della volta centrale, eseguita nel 1913, dalle tinte tenui e riposanti, e la ricchezza degli stucchi, delle dorature e dei colori di tutta la macchinetta dell’altare del 1899, che incorniciano e supportano l’affresco dell’ apoteosi del 1 852. L’autore, lo stesso Rapisardi del quadro della Madonna, coglie e raffigura i SS. Fratelli in un angelico abbraccio, “librantisi verso la gloria di Dio con armonia cromatica e con effetti vivaci di impressione decorativa” (A. Torrisi).

La iscrizione sullo scudetto smaltato azzurro in lettere dorate “UNUS SPIRITUS ET UNA FIDES ERAT IN EIS” sembra suggellare quello spirito di unità e concordia nella fede e nell’amore di Dio, che i volti celestiali e gli sguardi rivolti al cielo in un fraterno abbraccio esprimono in un suggestivo fondersi di forme e di colori, che restano impressi nell’animo di chi li ammira in commossa contemplazione. La levità delle figure, la gioiosa dolcezza dei volti, il movimento delle vesti, sembrano rivelare il felice volo verso la gloria e il distacco da questa terra di peccato e di dolore. In cielo riceveranno le tre corone sormontate dalla croce, che due figure angeliche sostengono pronte per loro, con evidente richiamo allo stemma intagliato sull’architrave della porta della navata di sinistra, tradizionale simbolo, insieme con la palma della vittoria, dei martiri.

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