Descrizione
Verso la fine del secolo XIX vi fu un vivace dibattito sulle origini del Santuario fra autori che sottolineavano maggiormente gli eventi miracolosi e altri che sostenevano invece la necessità di maggior prudenza e rigore storico. In questo contesto trovarono la loro origine alcuni fatti, tramandati a voce dagli anziani, che pur riferendosi a episodi reali, risultavano amplificati o distorti dalla sensibilità e religiosità popolare. I documenti a noi disponibili sono costituiti da alcuni fogli, conservati presso l’Archivio storico della Curia vescovile, contenenti una relazione scritta e due verbali di interrogatori sull’origine del culto a questa immagine. La storia, come risulta dalla lettura comparata di questi documenti, è la seguente. Nell’estate del 1740, il signor Luigi Borella, di professione orefice, passeggiando nel chiostro della chiesa di S. Eufemia, notò una statua della Madonna distesa per terra.
Era finita là, dopo esser stata tolta da una nicchia presso la porta maggiore della chiesa, a causa di alcuni lavori che si stavano effettuando. Il Borella si interessò per sapere a chi appartenesse tale statua e, saputo che era di proprietà di una Compagnia detta della Madonna d’oro, si rivolse al massaro chiedendo di poterla avere: in compenso offrì mezzo ducato. Aveva intenzione infatti di portare la statua in un suo podere, dove fece costruire un capitello isolato in un angolo della sua possessione. Ottenuta la statua, la fece pulire e la collocò nel capitello, per il quale chiese al vescovo il permesso che venisse benedetto. Fu così che la prima domenica di ottobre del 1740, festa del S. Rosario, don Dalla Torre, sacerdote vicario del parroco di Dossobuono, si recò in processione con la comunità di Dossobuono a quel capitello e vi impartì la solenne benedizione. Come si può vedere all’origine di tutto vi fu un atto di devozione da parte di un cittadino che fece edificare un capitello: fatto questo abbastanza comune nel passato, come testimoniano ancor oggi i capitelli sparsi per le campagne. I fatti che suscitarono interesse accaddero invece all’inizio dell’anno seguente, cioè nel gennaio del 1741. Il signor Borella diede inizio ai lavori per costruire una stalla e altri fabbricati rustici necessari alla conduzione del podere, incaricando Tommaso Zoccatelli di Dossobuono di cavare lì vicino della ghiaia. Costui si mise al lavoro e iniziò lo scavo alla distanza di circa 120 metri dal capitello. Quando giunse però a una profondità di tre metri, si trovò in presenza di una vena d’acqua, piuttosto modesta se la mattina seguente se ne poteva raccoglier due secchi in circa. Lo Zoccatelli vide subito nell’accaduto qualcosa di strano e ne attribuì la causa alla presenza del capitello, confortato in questa sua convinzione dal fatto che il pozzo che serviva per la vicina casa aveva una profondità di circa 24 metri. Come ben si può immaginare, la notizia in breve si sparse tra la gente di Dossobuono e la presenza di quella poca acqua fu subito attribuita ad un prodigio di M(aria) V(ergine). Con tale convinzione, due abitanti di Dossobuono, Bernardo Gelmini e Simone Battistoni, tutti due febbricitanti con devozione e ferma fede, furono separatamente uno alla volta a bevere di quell’acqua e dissero haver havuta gracia di guarire. Il Borella provvide di persona alla custodia del capitello e delle offerte per mezzo di un eremita, suscitando così il risentimento dei sacerdoti della parrocchia e dell’autorità religiosa. I sacerdoti di Dossobuono, infatti, mantennero sempre un atteggiamento di diffidenza nei confronti della devozione e dei fatti straordinari che si diceva accadessero al capitello. Ciò che maggiormente appare preoccupare il sacerdote, fu il tentativo, fatto fin dagli inizi, di trasformare il capitello in chiesa. Si legge infatti che il proprietario aveva fatto rinchiudere il capitello con delle assi, a guisa d’un oratorio, con il pretesto di tenere al sicuro le offerte: ne era quindi risultato un locale capace di cento e più persone, coperto e serato. Altrove invece don Dalla Torre afferma che il Borella aveva fatto delle costruzioni accanto al capitello, tra quali ve n’è una che si dice fatta per chiesa…con pretesa di indipendenza da Parochialità. Fu a questo punto che comparve la leggenda dei buoi e del trasporto miracoloso dell’immagine, in una versione contraria a quella recepita poi dalla tradizione popolare. Si legge infatti che, prima del Natale 1741, furono esposte al capitello, appese una per parte, due tavolette dipinte rappresentanti dei miracoli. Orbene in una di queste tavolette, era rappresentata la chiesa di S. Lucia extra et un carrettone con entro l’Imagine della B.V. , tirato da un paro bovi, apparenti appoggiar i piedi sopra la porta della sudetta Chiesa, guidati da una persona.
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