Madonna delle Grazie

Descrizione

Descrizione
Il Santuario della Madonna delle Grazie di Rasiglia, circondato dalla quiete e dal silenzio dei boschi, è un luogo a cui si giunge con deferenza, quasi si potesse percepire nell’aria tutto il mistero e la sacralità che avvolgono questo meraviglioso luogo di culto. Sì perché l’origine e la storia dell’edificio coincidono con la tradizione popolare.

COSÌ EBBE ORIGINE

Sarebbe stato un semplice pescatore, nell’anno 1450, a scoprire ciò che avrebbe segnato per sempre la storia devozionale e umana di questo territorio: percorrendo il fiume lungo un fosso chiamato Terminara, il pescatore scorse qualcosa d’insolito, simile a pietra scolpita, dipinta di colori pastello; vide le ali azzurre degli angeli, il bambino nudo, la Madonna in preghiera. Era un gruppo scultoreo in terracotta, abbandonato tra i rovi, o comparso come dal nulla. Quale che sia la verità, fu proprio a seguito di tale ritrovamento che gli abitanti di Rasiglia decisero di erigere una chiesa intitolata a Santa Maria, nei pressi del vocabolo Maragone, proprio al di sopra di quel fosso che ancora oggi attraversa le viscere del santuario. Da un documento datato 1286 si evince che in quello stesso vocabolo era precedentemente esistito un monastero di semireligiose, poi abbandonato e ridotto in macerie. L’ipotesi è che la devozione per la quale fu costruito il santuario di Rasiglia affondi le sue radici in epoche ben più antiche, addirittura precristiane, se è vero che il limitrofo terreno chiamato Camparvana (cioè campo degli Arvali o Ambarvali) è prova toponomastica della sacralità che riguardava fin da tempi immemori questi luoghi.

OGGETTO DI DISPUTE

Come ogni leggenda che si rispetti, però, anche quella che riguarda il santuario di Rasiglia racconta di conflitti e avversità: il fosso di Terminara era così chiamato in quanto costituiva il termine, il confine, tra la Diocesi di Foligno (cui appartiene Rasiglia) e quella di Spoleto (cui appartiene Verchiano, paese poco distante dal primo). Per questo motivo i Verchianesi reclamarono per sé la Madonna di terracotta e tentarono in più occasioni di trafugarla: nel primo caso la statua, una volta portata a destinazione, scomparve durante la notte e ricomparve invece sul luogo del ritrovamento; nel secondo, i buoi che trainavano il carro si bloccarono e si inginocchiarono poco dopo essere partiti, in un luogo in cui poi fu eretta una piccola edicola, conservatasi ancora oggi. Ritenuti questi segni della volontà divina, da quel momento si poté procedere alla costruzione dell’edificio, che divenne ben presto luogo di convergenza tra le popolazioni di tutta la Valle del Menotre e non solo. A testimonianza della grande devozione diffusa su tutto il territorio, ancora oggi sono numerosi i pellegrinaggi compiuti ogni anno dagli abitanti dei paesi limitrofi: Roviglieto, Scopoli, Volperino, e ancora Verchiano, Villamagina, Casenove, scampati al colera, alla siccità, alla morte per rappresaglia, grazie ai miracoli compiuti dalla Vergine.

MOLTI GLI EX VOTO

Il nome Madonna delle Grazie è in sé chiaro: gli affreschi, la miriade di ex voto che tappezzano le pareti, l’oro donato in pegno, sono solo alcuni dei segni della riconoscenza dei fedeli e delle comunità protetti dalla Madonna.
Il portico esterno, col suo colonnato di leoni e serpenti, con la quercia secolare che sorveglia una piccola fonte nella roccia, è abbacinato dal sole. Varcando il grande portone d’ingresso, si fatica ad abituarsi alla semi oscurità. Ma è solo un attimo: gli affreschi che ricoprono le pareti della chiesa sono un tripudio di luce e colore. L’oro, il verde, il rosso terra dei manti. Sono circa quaranta composizioni sacre, quasi tutte dedicate alla Madonna, affreschi votivi di notevole pregio, appartenenti a maestri folignati della seconda metà del sec. XV. Oltre l’altare, scendendo una scala, si accede alla piccola cripta inferiore, in cui è conservata ancora oggi la statua quattrocentesca della Madonna e degli angeli in adorazione del Bambino Gesù. Fin dall’antichità, il sacro simulacro veniva trasportato processionalmente dal Santuario alla chiesa parrocchiale di Rasiglia, dove veniva esposto al culto dei fedeli per otto giorni, per poi essere riportato, la domenica successiva, al Santuario. Un rituale, questo, che avveniva, e avviene ancora oggi, ogni tre anni, in occasione della Festa Triennale, detta anche Festa Grossa.

IL SACRO SIMULACRO

Si narra, tuttavia, che proprio durante una processione, la statua cadde, rompendosi. Sarebbe per questo motivo che il volto e le mani della Madonna in terracotta furono ricostruite con un calco, mentre quelle originali furono applicate ad una nuova statua, lignea e vestita, che oggi rappresenta il sacro simulacro venerato dai fedeli e celebrato durante le processioni e i pellegrinaggi. Gli abiti della Madonna vestita sono tre, due dei quali messi a rotazione, mentre il terzo, il più antico e prezioso, indossato solo in occasione della Festa Triennale. Quello della Vestizione è un rito a tutti gli effetti, difeso gelosamente e compiuto con estrema devozione da alcune donne scelte, a cui viene tramandato questo privilegio: una volta sceso il Sacro Simulacro dall’abitacolo in cui abitualmente si trova, le donne chiudono il santuario ad occhi indiscreti, rimangono sole, e soltanto allora cominciano la vestizione, avendo cura di non lasciare mai scoperto il corpo della Madonna, così da preservarne il pudore e la sacralità. La statua, posta sopra l’altare maggiore, rimane solitamente nascosta dietro un pannello ligneo, che la cela agli occhi di tutti*. Anche quello dell’apertura, infatti, è considerato un rituale, da effettuarsi esclusivamente in determinate occasioni e festività: solo nella rarità della scoperta può preservarsi la misticità, l’attesa, l’emozione emanata da una visione tanto meravigliosa, fatta di ricami dorati, stelle e coralli, fatta di vesti color perla ed azzurre, degli occhi austeri di Lei, che ci stanno a guardare. E allora eccola, la Madonna. La Madonna alta sopra il volto chinato e commosso di tutti, la Madonna umile dentro il cuore addolcito di ciascuno, bella, più dell’aurora, come intona la dolce canzone al suo sorriso così pudico e serafico.
Fonte: https://rasigliaelesuesorgenti.com/santuario/

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