Natività di Maria Santissima (Santuario Parrocchia)

Descrizione

Descrizione
Il Santuario di Santa Maria di Montevergine allo Schiappone detta Chiesa di Natività di Maria Santissima
La proprietà di questo sacro edificio passò alla famiglia Bertarelli fino al 1806,la quale, però, detenne il patronato fino al 1935 anno in cui tale edificio fu istituita una sede parrocchiale. assunse poi dal 1953 il titolo di Santuario dedicato a Santa Maria di Montevergine.

LA STORIA

La località dello Schiappone intorno al 1500 era proprietà della nobile famiglia Russo. I fratelli Ottavio, Raffaele e Luigi Russo nella prima metà del ‘600, vi fondarono la chiesetta con due cellette per gli eremiti. Nel 1656, però, i Russo morirono di peste e lo Schiappone passò di proprietà ad altri signori, tra cui i Siniscalchi, patrizi napoletani. Gli eredi di questi ultimi conservarono il diritto di patronato fino alla fine del secolo scorso. La chiesetta dedicata alla Madonna di Montevergine, venne ampliata agli inizi dell’ 800 da un certo Baldino eremita e lo stemma dei Siniscalchi sulla balaustra venne conservato.
D’Ascia, nella sua opera “Storia dell’Isola d’Ischia”, la descrive con una struttura architettonica a croce latina, più esattamente a croce commissa, con la cupola al centro del transetto. L’altare e la balaustra, rimossa in tempi recenti con lo stemma dei Siniscalchi, erano di marmi policromi, risalenti alla meta del XVI secolo. Lo stuccatore Domenico Savino, decorò le pareti e la volta. Ancora oggi si può ammirare la bellezza degli stucchi nelle ghirlande d’edera, di quercia, di rose e di stelle”. La tela, collocata sull’altare, raffigurante la Madonna e Santi del secolo XVIII, ha sullo sfondo il castello Aragonese e la collina dello Schiappone. La chiesa in genere era chiusa e veniva aperta per accogliere i pellegrini che da ogni parte delle isole d Ischia e Procida in occasione della festività dell’8 settembre (natività di Maria), si recavano numerosi sulla collinetta dello Schiappone, come ad un santuario, per venerare la Santa Vergine “. Lo storico D’Ascia nel suo libro su Ischia descrive nei particolari il pellegrinaggio del 7 e dell’8 settembre alla chiesa dello Schiappone: “Dai comuni lontani le carovane dei devoti, uomini, donne, fanciulli, frammisti in diverse età, confusi in diverso sesso, in allegra brigata, alle prime ore della sera del 7 settembre, partono per l’eremo, passando quasi l’intera notte in viaggio.
Così le allegre carovane, dai paesi più prossimi, partono a più avanzate ore, in modo che, prima dell’alba… l’Eremo è popolato di venditori, di trafficanti e di devoti. Sull’atrio, sulle scale, sui poggi dell’Eremo stesso attendono che si apra la chiesa per assistere ai divini uffici e per pregare: la gente più civile e il popolo dei casali limitrofi accorrono all’Eremo a giorno fatto, altri nel dopopranzo, in modo che per tutta la notte, per un giorno intero è popolata quella solitaria campagna. E’ una fiera animatissima di uomini e di animali, di donne abbigliate in diversi costumi, di gente parlante in diversi dialetti. E’ una festa campestre piena di brio, con cui pare si saluta l’Autunno che si approssima; è una festa religiosa-popolare, da curiosarsi, perché è una delle poche feste campestri religiose, che richiamano tanto concorso di popolo da tutte le parti dell’isola”.
Prima del 4 aprile 1949, quando il vescovo E. De Laurentis la elevò a parrocchia con il titolo di Natività di Maria la chiesetta dello Schiappone fu servita dagli eremiti, di cui si conoscono alcuni nomi: fra Gaspare Baldino (1838), morto miseramente sulla strada, mentre tornava da una questua; fra Giovanni e fra Pasquale (1886) e infine fra Pasquale da Fontana, rimasto fino agli anni 20. Fu questo l’ultimo eremita e fu allontanato dopo aver fornito prova di dubbia moralità. L’eremita, per sopravvivere, era costretto a chiedere la questua per i casali d’Ischia, Procida e spesso anche nei dintorni di Napoli; vestito da frate, con i sandali ai piedi, zucchetto in capo, bussava di porta in porta e si annunciava con le parole “Madonna di Montevergine”. Oltre alla cassettina per le offerte in denaro, egli recava con sé una bisaccia nella quale riporre le offerte in natura: olio, vino, salsicce.
Nella chiesetta, negli anni 50, fino a che un fulmine lo distrusse, c’era un quadro rappresentante un bambino di due anni circa; si trattava di un ex voto per un miracolo ottenuto, “il miracolo del muto”. Questo bambino, muto dalla nascita, fu portato dalla madre in chiesa e adagiato sull’altare. La povera donna invocò per il figlio la grazia della parola e si allontanò. Giunta sulla soglia, il bimbo la chiamò “Ma… ” e da quel momento parlò. Ma di miracoli attribuiti alla S. Vergine dello Schiappone in epoca remota sono tanti, peccato che siano andati perduti gli ex voto che li testimoniavano. Per molti anni sull’esempio della processione del venerdì santo di Procida, si svolgeva partendo dallo Schiappone, giù per la Molara e poi su a Barano, a Testacelo e al Vatoliere e di nuovo su per lo Schiappone, una lunga processione del Cristo morto con tutti i misteri della passione: la flagellazione, il fuoco alla porta di Filato, le catene, il sacerdote della flagellazione, le tre Marie, Giuda impiccato, i due ladroni e Gesù morto (deposto dalla croce).

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