Descrizione
San Michele, “chi come Dio?”, è il capo supremo delle milizie celesti degli angeli fedeli a Dio. Antico difensore della Sinagoga, è patrono della Chiesa Universale che lo invoca nel sostenere la lotta contro le forze del male. La devozione è presente in molte località dell’Arcidiocesi: Lettere (Orsano), Gragnano, Pimonte, Ticciano, Piano, Anacapri e Stabia (Scanzano e Pozzano). Il culto sul monte Faito fu introdotto, sul finire del VI secolo, dai santi patroni di Stabia e Sorrento: il vescovo Catello e il monaco Antonino. Su queste alture (nel Medioevo monte Aureo) si rifugiavano i due santi assieme alle popolazioni dell’agro stabiano per sfuggire alle scorrerie dei popoli longobardi. Catello e Antonino, amici fraterni, che erano soliti dedicarsi in solitudine alla meditazione e alla preghiera nei pressi di Portaceli, in una grotta (la grotta di San Catello), dovettero affrontare l’ostilità delle persistenti tradizioni di idolatria pagana.
Una notte furono illuminati dalle apparizioni in sogno dell’Arcangelo Michele che ordinò l’edificazione di un tempietto in Suo onore, lì dove vedevano ardere un grosso cero.
Fu subito costruito un rudimentale oratorio in legno, sulla cima del Molare (monte Sant’Angelo), a 1443 metri sul livello del mare. Su questo, che è il punto più alto della catena dei Monti Lattari, si trovava una specie di pozzetto naturale. L’oratorio fu migliorato con il sostegno del Pontefice, che donò il piombo necessario per la copertura del tetto. Si narra che, durante la costruzione San Michele mostrò il Suo compiacimento attraverso vari prodigi. Il santuario divenne meta di numerosi pellegrinaggi, in quanto divenuto uno dei più importanti luoghi in Europa consacrati all’Arcangelo: facendo da pendant sul Tirreno all’omonimo santuario del Gargano sull’Adriatico, esso segnava e delimitava il regno del Sud. Anche d’inverno vi si celebrava la Santa Messa ogni giorno.
Una leggenda narra che l’Arcangelo scacciò Sant’Angelo a Tre Satana, dai dirupi del picco mentre tentava i due santi: il demone nel Pizzi, fuggire urtò contro una roccia calcarea lasciando la propria impronta. Da qui il nome del luogo “ciampa del diavolo”. Nel conosciuto come tramandarsi di questo racconto si nasconde una storica verità: la sconfitta delle reliquie del paganesimo, scacciate dalla diffusione del culto di San Michele, il cui oratorio sovrastava l’antico tempio pagano.
“La lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre, tra Michele e Satana si perpetua incessante nel cuore degli uomini e della natura” (F. Di Capua).
Nel tempietto, accanto all’altare di San Michele, sorsero, in seguito, gli altari dei santi fondatori, Catello e Antonino. Il titolo abbazia è documentato dall’anno 1392. Questo tempio rimase sempre in possesso della diocesi di Stabia, malgrado che, staccatasi da essa nel sec. X, la Diocesi di Lettere venisse a trovarsi circondata da territori appartenenti quasi tutti alla nuova Diocesi.
L’oratorio fu simbolo della devozione all’Arcangelo per tutto il comprensorio delle località che circondano il monte. In difficili circostanze le popolazioni erano solite rivolgersi a San Michele che, li proteggeva dalla cima del Faito. A Sorrento è ricordato, con particolare enfasi, il patrocinio dell’anno 1558. La città fu attaccata da più di cento galee turche; Sorrento fu saccheggiata, i giovani furono ridotti in schiavitù e i vecchi massacrati. I cittadini scampati alla strage si recarono al Faito per implorare l’intervento divino; i presenti potettero assistere alla miracolosa sudorazione di manna, sgorgante dalla statua dell’Arcangelo. Il giorno dopo i turchi abbandonarono Sorrento.
Nei secoli successivi il prodigio della sudorazione era molto frequente, come è testimoniato dai numerosi documenti tra il XVII e il XVIII secolo. Tra le sudorazioni miracolose, documentati negli atti degli archivi Capitolare stabiese, risulta particolarmente tangibile quella del 31 luglio 1714: “la statua di marmo di d.to Santo scaturì il solito sudore ma in grandissima copia più dell’altri anni à segno tale che più s’asciugava colla bambace tanto più grondava a rivoli (…)” Nel 1689 un fulmine diroccò il tetto dell’abazia, l’anno successivo il Capitolo riparò il danno e provvide all’ampliamento; in seguito, nel 1694 furono eseguite altre riparazioni per conservarne la staticità. Nel 1703, l’Università stabiese, proclamava San Michele “compatrono” delle città e stabilì che ogni anno il giorno 31 luglio una delegazione presentasse all’Arcangelo il dono di due torce. Il 19 gennaio, in un anno della prima metà del XVIII secolo, il sacerdote stabiese Giuseppe Cerchia si recò al santuario per celebrare la festività di San Catello; in tale occasione la sommità del monte era coperta di tulipani: fiori che non fioriscono sui monti e, certamente, non nella stagione invernale quando le cime sono coperte di neve. I fiori furono raccolti e mostrati, destando grande stupore in città. La chiesa fu consacrata il 28 settembre 1762 da mons. Giuseppe Coppola. In tale occasione fu resa transitabile la strada che portava al tempio.
Il santuario fu distrutto da un incendio nel 1818; ricostruito il 29 luglio 1843 da mons. Angelo Scanzano. Due giorni dopo si rinnovò il miraco9lo della sudorazione della statua e “parte di quella bambacia” fu portata al vescovo al Real Casino di Quisisana per presentarla al Re. Nei giorni antecedenti al 1 agosto, festa della dedicazione, a al 29 settembre, solennità del Santo, migliaia di fedeli si recavano in pellegrinaggio sul Faito. I pellegrinaggi cessarono nel 1862, quando per causa dei briganti, che profanarono anche il luogo sacro, i monti divennero poco sicuri. Un fulmine colpì la statua dell’Arcangelo, frantumandola. Il santuario fu abbandonato e divenne un mucchio di macerie. La statua, ricomposta alla meglio, fu trasportata, il 20 dicembre 1862, nel duomo di Castellamare. Qui oggi domina la nicchia nell’omonima cappella: “La statua mostra parecchie rotture; nel restaurarla, il braccio destro fu male attaccato. In una stampa anteriore esso è più lungo e più svelto (…) >Nel restaurarlo al piede destro fu messo il sandalo, che si trova nel sinistro” (F. Di Capua) Si tratta di una scultura in marmo bianco, alta 102 cm che poggia su una base di 45×32 cm. L’iconografica potrebbe accostarsi a quella incisa su alcune monete raffiguranti l’arcangelo, usate nel medioevo in Italia meridionale. L’invenzione compositiva è riconducibile al periodo circoscritto dalla fine del VI al IX secolo. San Michele Ha un’espressione sorridente, quasi femminea: è rappresentato come un guerriero longobardo, con una tunica lunga e la lancia. L’iconografica è molto simile al dipinto raffigurante il Santo del che si ammira a Castellamare nel medioevale ipogeo di San Biagio. Sono ancora visibili i danni causati dall’incendio del 1818. Il diadema, la lancia e lo scudo d’argento furono cesellati nel 1864, per un voto del Capitolo. Da tradizione, la scultura risalirebbe al VI secolo; essa sarebbe un dono di Papa Gregorio Magno a San Catello. La tradizione, non trova confronto nel parere degli esperti che datano il san Michele al secolo XV. In particolare, recenti studi, condotti dal prof. Mario Pagano, associano il simulacro alla bottega di Francesco Laurana (1430-1502c.), maestro tra i massimi esponenti del Rinascimento. Nel 1899 il conte Giusso, proprietario della montagna, tentò invano la riedificazione del santuario.
STORIA DEL SANTUARIO: SANTUARIO DI SAN MICHELE ARCANGELO SUL MONTE FAITO
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