Divina Maternità

Descrizione

Descrizione

Nel sec. XII due erano le chiese di Concesa, quella di  S. Maria, consacrata alla Vergine Assunta, ed un Oratorio dedicato a S. Nazario. Crollate tutt’e due sotto il peso degli anni, il giorno 15 settembre 1520 si inaugurò una nuova parrocchiale, costruita nello stesso luogo e sotto la medesima invocazione della precedente.
“Quivi nella Chiesa parochiale, all’Assuntione della Vergine Madre dedicata, scaturiva, avanti ad una divota imagine di essa dipinta sopra il muro del Campanile, una Fonte assai famosa, e di virtù mirabile in risanar gli infermi, che divotamente ò in essa si lavavano, ò sorbivano di quell’acqua. E, per quanto attestano molte persone di quella Terra, per traditione de’ suoi Antenati, v’era molto celebre, e frequente il concorso de’ popoli sì circonvicini, come forestieri. e innumerabili erano le gratie che vi s’operavano”.

La testimonianza storica non dice in quale anno si fosse manifestata la sorgente che tanta gente attirava per le virtù miracolose che le venivano riconosciute.

Purtroppo, così come si era manifestata, improvvisamente la sorgente inaridì, per scaturire, qualche tempo dopo, più in basso, nel prato lungo il naviglio. Attorno alla nuova sorgente crebbe un rigoglioso prato circondato da salici, l’acqua di tale sorgente era vista come segno e testimonianza delle grazie ottenute dalla Vergine Maria a coloro i quali ne facevano uso. Tale acqua era chiamata dai devoti “Acqua della Madonna”. La fama dell’acqua ritenuta prodigiosa si propagò non solo nei dintorni, ma fin nelle città. Con una spontaneità tutta secentesca, le cronache dell’epoca raccontano di un fatto prodigioso che fu “la cagione per cui si eresse una Cappelletta sopra il fonte”.
Viveva in Capriate, villaggio bergamasco sulla riva sinistra del fiume Adda, una donna di nome Felicita Polini, la quale da anni giaceva inferma. Desiderando ella recarsi alla fonte di Concesa ma non potendo affrontare il viaggio, si fece portare di quell’acqua da una pia donna di nome Firma, “ne usò e trovossi guarita”. Per la gratitudine la donna promise la costruzione di una cappella sul luogo del miracolo, ma indugiò e le cronache riferiscono che una caduta la portò in fin di vita. A seguito di tale incidente Felicita rinnovò le promesse, che nuovamente non mantenne. Ammalatasi ancora a morte, in fin di vita ricordò l’impegno preso al marito. Scosso dalla drammatica fine della moglie ed animato dal desiderio di portare a compimento il più presto possibile la promessa fatta alla Madonna di Concesa, il Polini diede mano all’opera impegnandovi ogni suo avere.
Tanta correttezza e buona volontà suscitano la partecipazione spontanea di molti.

Saggiamente il Polini amministrò le entrate ed ultimata la fabbrica pensò di decorane l’interno “con un maestoso e grazioso ritratto dell’Alma Vergine in atto di nutrire il Bambino Gesù”. Il progetto piacque al parroco di Concesa Giovanni Battista Manetta di Treviglio il quale affidò l’esecuzione dell’immagine a Giovanni Stefano suo fratello, “pittore conosciuto sì nelle campagne lombarde, ma per lavori di poco conto”.
La tradizione insiste sulle non eccelse capacità del pittore e sull’angoscia che lo tormentò non appena ebbe posto mano al dipinto.
“E’ fama ch’ei pretendesse di riuscirci col ritrarre la moglie, donna per altro non di ordinaria bellezza, a lui presente in atto di allattare il proprio bambino. Se non che, sorpreso in sull’opera dal sonno, quando infine si risentì, trovò la pittura già di nvisibil mano condotta a certo finimento d’arte, ch’era follia sperarlo da lui. Comunque sia, si ravvisò nella fattura del ritratto dell’Alma Vergine un nuovo segno di predilezione del Signore verso i divoti di Concesa”. (Piantoni)
Commenta il medesimo scrittore: “Chiaro vedevasi per più che l’opera del mediocre pittore … unanime lo stupore, una sola sentenza: esservi quivi del sovrumano!” (Id. pag. 37). Il volto di Maria non poteva essere opera delle sue mani…
Ammirato ne fu il parroco che nel dipinto ravvisò “ben più che l’opera del mediocre pittore” suo fratello; stupiti ne furono i devoti di Concesa e dei dintorni, tutti unanimi e concordi nel ritenere “esserci quivi del sovrumano e doversi senza indugi esporre la dolce, l’amabile, la maestosa Imagine alla pubblica venerazione”. Cosa che avvenne in brevissimo tempo (1611) con la trasformazione del luogo attorno alla fonte in piccolo Oratorio sacro alla Vergine. Collocata che fu la sacra immagine nella Cappelletta, “s’avanzò a meraviglia la frequenza delle visite, e la divotione de’ concorrenti”.

L’affluenza fu tale che il parroco Don Antonio Oroboni, successore del Manetta, animato da devozione e zelo per il luogo sacro alla Madonna, e stimando troppo angusto lo spazio ad essa riservato, pensò ad una costruzione alquanto più ampia. Il suo fervore si scontrò ben presto con la realtà dei tempi: l’estrema povertà dei suoi parrocchiani, contadini in eterna lotta con lo scarso frutto della terra. In aiuto alla nuova costruzione intervenne la Contessa Anna Landriani Monti, sposa del nobile Precivalle Monti.
La contessa Anna ebbe due figli, Cesare e Marc’Antonio. Datosi giovanissimo alla carriera ecclesiastica, Cesare seguì la Corte di Roma. La contessa Anna era solita villeggiare in Vaprio d ‘Adda, venuta a conoscenza del progetto di don Oroboni, mise nelle mani del parroco una considerevole somma per la nuova fabbrica.
Il 5 agosto 1621, festa della Madonna della Neve, con grande solennità venne posta la prima pietra in un terreno, lungo il naviglio. Purtroppo i lavori, iniziati cori tanto coraggio, andarono per le lunghe. Due gravi calamità desolarono la regione, la carestia e la peste. Scoppiato il tremendo contagio, la contessa Anna, già vedova del conte Precivalle, ebbe ad affrontare un immenso dolore per la morte del figlio Marc’Antonio, la fabbrica venne interrotta, il cantiere abbandonato. Le visite dei fedeli diradarono, per cessare poi completamente.
Nominato cardinale da Urbano VIII e preconizzato arcivescovo di Milano nel 1632, Monsignor Cesare Monti il 30 aprile 1635 prese possesso della diocesi ambrosiana. La contessa Anna, sua madre, volle ravvisare in questo favorevole avvenimento una nuova grazia di predilezione della Vergine per i devoti del Santuario ed esortò il figlio ad intervenire e portare a termine la fabbrica interrotta da cinque anni.

Il Cardinal Monti ne fu entusiasta e, notata l’affluenza dei fedeli anche della sponda sinistra dell’Adda — allora appartenente alla Repubblica di Venezia — s’impegnò a costruire con i propri mezzi il Santuario, ” in riconoscimento di molte grazie ricevute da Dio —crede per l’intercessione di Maria — per onorarla nella sua Immagine Miracolosa di Nostra Signora di Concesa” (Lettera del Card. 16-5-1646).

Con quelle doti di saggezza, prudenza ed operosità che lo avevano distinto nelle precedenti missioni, il cardinale Monti, affidò all’ingegnere Carlo Buzzi, con la consulenza dell’ingegnere Francesco Maria Richini, già impegnati nella fabbrica del duomo di Milano, la progettazione di un santuario “bastevolmente maestoso al decoro della Sacra Imagine”. Era il novembre del 1635.
Dopo sei anni di faticosissimo lavoro, il piccolo Santuario venne inaugurato dal Cardinal Monti il 3 settembre 1641, giorno in cui vi fu trasferita la miracolosa immagine. Il Cardinale affidò il Santuario alle cure spirituali di due Sacerdoti Oblati di S. Carlo.
Bella espressione di barocco lombardo il santuario, dedicato alla Divina Maternità di Maria SS., venne abbellito ed arricchito con marmi, quadri, affreschi e con tutti gli arredi e suppellettili necessari per il mantenimento del culto divino.
Situato nella verdissima valle dell’Adda, quasi all’inizio del Canale “Martesana” — forse unico Santuario costruito sulla sponda destra del grande fiume lombardo — egli lo volle dedicato alla Madonna, che, qui a Concesa si era manifestata “Madre di Dio e madre nostra” attraverso il quadro miracoloso, opera del mediocre pittore Gianstefano Manetta.
Il richiamo del nuovo Santuario fu veramente forte per le popolazioni del Milanese e del Bergamasco, che presero a frequentarlo numerosissime. Una vera folla accorreva a Concesa, per la propria vita spirituale.
Il Cardinal Monti, che l’aveva affidato a due Oblati, si accorse che essi non erano sufficienti a soddisfare le richieste dei fedeli. Pensò quindi ai Carmelitani Scalzi. Essi, più numerosi —una comunità di 15 persone — avrebbero potuto con maggior frutto dedicarsi ai fedeli e venir incontro alle necessità del Santuario.

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