Madonna del Bagno

Descrizione

Descrizione

La Madonna del Bagno è un piccolo santuario popolare nato, attorno al XVII, a fianco di una sorgente d’acqua sulfurea nei pressi di Casalina (Deruta). ‘Una delle più fresche ridenti gemme dell’Umbria sebbene poco conosciuta’ la definì il suo rettore don Antonio Santantoni Menichelli. Secondo antiche narrazioni, la chiesa nacque a seguito di un ‘evento prodigioso’ datato 1657, che racconta come Cristofono di Casalina, mercante la cui moglie si trovava in fin di vita, ricevette la prima grazia. In realtà la leggenda ha origine circa un decennio prima, con esattezza nel 1643, quando un frate francescano ‘scarpante’ (che portava le scarpe per l’appunto, distinguendosi dagli ‘scalzi’ e dagli ‘zoccolanti’), passando per un sentiero di Colle del Bagno, scorse a terra una tazzina, di quelle che i viandanti erano usi portarsi appresso per dissetarsi alle fontane o ai ruscelli. Il frate si accorse che nel fondo vi era dipinta una piccola immagine della Vergine col Bambino così, mosso da devozione, la raccolse e la collocò tra i due rami di una quercia ancora giovane perché l’immagine sacra fosse riverita dai passanti. Col tempo, però, la tazza subì molte cadute e del coccio non rimase che l’interno con la sola immaginetta sacra. Fu così che nell’anno 1657 il sopracitato mercante Cristofano la trovò e, mosso da fede profonda mista a disperazione per lo stato di salute in cui riversava la moglie, si raccomandò alla Madonna. L’uomo fu, così, il primo a sperimentare il potere taumaturgico della Sacra Immagine poichè, non appena fece ritorno a casa, trovò la moglie completamente guarita. Da tale evento prese il via il culto della piccolissima immagine della Madonna detta ‘del bagno’ dal nome del luogo in cui avvenne il primo prodigio, Colle del Bagno.

Questo era un piccolo lembo di terra tra Deruta e Casalina in cui si trovava una fonte la quale, scendendo verso il Tevere, si allargava a valle a formare una sorta di ‘pozza’ di circa tre metri, a mo’ di bagno. Pare che a questo modesto santuario avesse fatto visita anche Papa Leone XIII (al secolo Vincenzo Gioacchino Pecci), vescovo di Perugia per oltre 30 anni, dal 1846 al 1878, che molto stimava ed incoraggiava la fede popolare. Il Colle dei Bagni apparteneva all’ordine dei frati benedettini dell’Abbazia di San Pietro in Perugia, che conservarono meticolosamente le testimonianze delle offerte lasciate nel santuario quando la devozione per la Vergine cominciò a manifestarsi con una certa intensità. Il materiale documentario che parte dal 1657 è conservato nell’archivio storico dell’abbazia sotto il nome di ‘Carteggio riguardante la Madonna del Bagno’.

Al santuario si giunge attraverso una splendida scalinata in mattoni rossi, piuttosto ripida, che sale verso la chiesetta. Entrando si rimane stupiti dal numero di formelle in maiolica che ricoprono quasi per intero le pareti; se ne contano circa 800 e si tratta di ex voto provenienti quasi interamente dalla limitrofa cittadina di Deruta, capoluogo del comune e centro di antica e gloriosa tradizione ceramica.

L’edificazione del santuario è collocabile alla seconda metà del Seicento, periodo in cui, secondo la leggenda, si verificò il miracolo della quercia ove era stata apposta l’effige della Vergine (1657). L’edificio venne fatto erigere quasi esclusivamente a tale scopo: ‘contenere’ al proprio interno la quercia leggendaria. La struttura primaria era, in origine, assai più piccola rispetto alle dimensioni attuali; fu il progressivo aumento del numero dei fedeli che rese necessario un intervento di ampliamento.

La basilica si presenta come edificio rivestito semplicemente di mattoni, la porta d’ingresso è sormontata da un architrave in pietra serena (arenaria) recante lo stemma dell’abbazia benedettina con la scritta “D. MARIAE BALNEI”. L’interno presenta una struttura a tre navate, ognuna delle quali sormontata da volta. Al centro, una piccola cupola di appena 4 metri di diametro, tutta contenuta tra la volta e il tetto, non manca di stupire l’osservatore che, dall’esterno, non ne sospetta minimamente l’esistenza. Il bel pavimento in cotto ne riproduce, in pianta, le misure. L’altare maggiore, interamente dorato, è un nobile esempio dell’arte barocca. Sulla cimasa, una tela attribuita al pittore perugino Paolo Gismondi rappresenta Il Padre Eterno. Dietro l’altare si snoda perimetralmente un corridoio che veniva utilizzato dai fedeli per le cosiddette passate: ossia il ‘rituale’ dell’entrare e dell’uscire dalla chiesa passando davanti alla Sacra Quercia. Incastonato come una reliquia nell’altare maggiore, di questo miracoloso albero non rimane che un tronco ormai secco e segnato dai chiodi degli ex-voto. Tale soluzione era stata pensata e voluta per salvare la giovane pianta dalla ‘insaziabile’ devozione dei fedeli che non si facevano scrupolo di strappare fronde, pezzi di corteccia e ramoscelli da portare con sé. Il rimedio adottato, però, provocò danni irreparabili alla pianta, causandone la morte. Altri due altari, in stucco dorato, notevoli per la loro semplice eleganza, sono presenti all’interno della chiesa. A coronamento dell’altare laterale di sinistra, la tela con La Gloria di San Benedetto, sormontata da un’iscrizione che dice: LA GRAZIA DI BENEDETTO SIA CON NOI, attribuita, anche se con riserva, al pittore perugino Paolo Gismondi. L’altare laterale di destra presenta anch’esso una grande tela, probabilmente dello stesso autore, raffigurante un San Nicola da Bari che distribuisce il pane ai poveri e Sant’Antonio da Padova. Entrambe le tele sono datate ‘1660’. Nella raccolta Cappella del Crocifisso domina un suggestivo crocifisso ligneo, databile alla fine del XVI secolo. Il suo acquisto è stato reso possibile dalle offerte di alcune famiglie di Casalina. Sulla parete destra campeggiano quattordici piastrelle maiolicate, raffiguranti le stazioni della Via Crucis, più la Resurrezione. Il valore artistico, culturale e storico della basilica è anche e soprattutto rappresentato dalle 800 formelle in ceramica, quasi tutti ex-voto ‘per grazia ricevuta’ che ci parlano della fede e della devozione fiorite intorno alla minuscola, semplicissima immagine di una Madonna col Bambino contenuta in una piccola “tazza da bevere”. Questa immagine seppe conquistarsi una improvvisa e rapidissima popolarità operando il primo miracolo a favore di una donna, la moglie di un modesto merciaro. Quella fu soltanto la prima di numerosissime, successive ‘grazie’ che, rappresentate nelle formelle in maiolica, sono la ragione di tutta la sua fama. Da allora tutta una galleria di oltre 1000 figure umane e animali danno vita alle centinaia di scene di vita quotidiana nel suo evolversi lungo i tre secoli e mezzo che ci separano da quei fatti. Sono immagini di vita vissuta, raffiguranti le paure della gente comune: pericoli, paure, incidenti che cambiano di specie e di natura col passare del tempo e col mutare degli stili di vita. La produzione votiva, assai fiorente durante il periodo di massima produttività per Deruta (tra la seconda metà del ‘600 e la prima metà del ‘700), subisce una battuta d’arresto nel secolo e mezzo successivo, quando le attività artigianali attraversano una lunga fase di crisi. Altro fatto imputabile all’ interruzione della produzione di ex voto riguarda l’inizio delle ‘apparizioni mariane’, risalenti all’anno 1862, sul luogo dell’attuale Santuario della Madonna della Stella a Montefalco, che in qualche modo ‘deviano’ l’attenzione dei fedeli verso questo nuovo luogo di culto.

La devozione al piccolo santuario torna a guadagnare terreno con il cosiddetto ‘secolo breve’, il Novecento. Non è difficile comprenderne il motivo; la fede ed il bisogno di credere in una volontà superiore tornano a fare da protagonisti in un secolo dilaniato da tragedie: la Grande Guerra seguita dalla terribile pandemia di febbre Spagnola (che fu causa di cinquanta milioni di morti nel mondo), poi la crisi del ’29 che mise in ginocchio l’economia dell’intero pianeta, la Seconda Guerra Mondiale e la Shoah, la bomba atomica, il genocidio della Bosnia Erzegovina, etc.. Le pareti del santuario si sono offerte, perciò, come ‘specchio delle nuove paure’, delle inquietudini che tormentavano l’uomo moderno. Nelle formelle cominciano ad apparire minacce sicuramente ignote all’uomo medioevale e rinascimentale: campi di sterminio, aerei che sganciano bombe sulle città.. ma anche potenziali pericoli riferibili ai nuovi simboli della modernità e della velocità, come ad esempio automobili distrutte a seguito di incidenti mortali, le stragi del sabato sera, la frenesia dello sballo, le sale operatorie… I tempi cambiano e con loro i pericoli e i timori, ma il bisogno dell’uomo di un conforto spirituale rimane immutato. Così, entrando nel santuario, si ha l’impressione di assistere ad una ‘testimonianza in tre tempi’: il periodo Sei-Settecentesco e quello moderno (XX e XXI) di cui, però sfortunatamente, manca il periodo di mezzo.

Gli ex voto rappresentano un documento fondamentale per la comprensione degli usi e costumi di una società. Il significato antropologico e religioso che queste testimonianze artistiche, sebbene non particolarmente elaborate né raffinate nella tecnica, riescono ad esprimere rappresenta una dichiarazione di totale affidamento di sé ad una forza superiore. 

Nel biennio 1925-26 la basilica subì degli interventi di restauro. Fino ad allora gli ex voto in ceramica erano semplicemente appesi alle pareti interne, ,ma in occasione di tali lavori le formelle vennero ricollocate alle pareti senza alcun ordine cronologico o tipologico, ancorate per mezzo di due grappe in fil di ferro e murati a calce. Lo stesso trattamento fu riservato successivamente anche agli ex voto portati dai fedeli nel corso degli anni, fino ai nostri giorni. Nel 1976 la chiesa subì un primo furto di ex voto e nel 1980 un furto addirittura ‘doppio’, quando ben 241 formelle furono staccate dalle pareti per mezzo di rozzi punteruoli che scalfirono, scheggiarono e danneggiarono gran parte degli elementi ceramici. Un certo numero (circa 102) vennero fortunatamente recuperate e restaurate. Per quanto riguarda, invece, i pezzi trafugati e mai recuperati, si decise di realizzarne delle ‘copie’ con il consenso della Soprintendenza, a patto che si utilizzassero toni più intensi per renderli riconoscibili.

Dal sito internet: Scuola internazionale d’arte di ceramica  Romano Ranieri

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