Madonna dei Miracoli

Descrizione

Descrizione
Storia 

Gonzaga è il paese d’origine dell’omonima famiglia, che dominò lo stato di Mantova dal 1328 al 1707.
La corte di Gonzaga appare nei documenti verso la fine del primo millennio dopo Cristo: si tratta di un’isola, collocata tra i vari corsi del Po, non ancora arginato, in una zona paludosa ove le terre emerse erano ricche di una folta vegetazione e conservavano modeste vestigia umane.
Nel 967 la corte, con la cappella di San Benedetto ivi esistente, fu oggetto di uno scambio tra l’abbazia di Leno (Brescia) e Adalberto Atto di Canossa. Alla fine del secolo XI, in epoca matildica, la chiesa fu ricostruita in forme romaniche, significativa per caratteri e dimensioni, e venne sottoposta al vicino cenobio di Polirone, che nel piccolo monastero di Gonzaga conservò per vari secoli alcuni monaci ed un priore. Nel sec. XV la chiesa fu affidata a commendatari, ed infine al clero secolare, rimanendo soggetta alla diocesi di Reggio Emilia fino al 1820. L’edificio attuale conserva alcune strutture della chiesa romanica.
(Da Diocesi di Mantova)
Il Santuario trae origine da un evento miracoloso di cui fu protagonista il Marchese Francesco II Gonzaga, illeso dopo una grave caduta da cavallo sulla strada per Reggiolo.
Per la sua salute il fratello agostiniano Gerolamo Redini da Castel Goffredo, a lui vicino, aveva implorato l’intervento della Vergine la cui effigie era raffigurata su un capitello, facendo voto di costruire sul luogo una chiesetta in suo onore.
Nel 1490 la chiesuola fu costruita e accanto ad essa un convento(1), ottenendo dal pontefice Alessandro II il riconoscimento della congregazione degli “eremiti di Santa Maria in Gonzaga”. 
Sciolta la congregazione, nel 1578 il convento fu affidato ai carmelitani. Soppressa anche la congregazione carmelitana alla fine del secolo XVIII, l’immagine votiva della Beata Vergine dei Miracoli il 14 dicembre 1791 fu traslata  nella chiesa parrocchiale di Gonzaga.

Dal Sito della Parrocchia di Gonzaga

IL CONVENTO DI SANTA MARIA
Il convento di Santa Maria a Gonzaga ora restaurato e rinato a nuova vita. La sua scelta è interessante per la storia. La sua nascita per merito di Francesco II Gonzaga ed una sua caduta da cavallo. Nell’anno 1488, in un giorno imprecisato, Francesco Il Gonzaga, marchese di Mantova, percorreva la strada da Gonzaga verso Reggiolo, quando, per una improvvisa impennata del cavallo, cadde a terra e l’animale gli rovesciò addosso.
I presenti temettero per la vita del marchese, rimasto a terra privo di sensi.
Questi, durante la caduta (secondo Donesmondi, ma più probabilmente don Girolamo Redini da Castelgoffredo), dignitario al seguito, implorò la Beata Vergine Maria, inginocchiandosi davanti ad una immagine della Madonna dei Miracoli dipinta su un capitello ed adorna di ex voto.
Nell’implorare la salvezza del suo signore, fece voto di fabbricare in quel luogo una chiesa in onore della Vergine stessa e di ritirarsi in quel luogo a condurre vita eremitica.
E di fatto il marchese si rialzò poco dopo, senza aver subito danno alcuno, ed informato della preghiera e dei voti del Redini prese a cuore la cosa, impegnandosi a sostenere il religioso nel suo intento.
Presumibilmente già nel 1490 iniziava la costruzione della chiesuola e di un parte del conventino, ove il Redini aveva radunato un gruppo di romiti che, seguendo la regola di S. Agostino, vivevano sparsi nelle campagne.
Nel maggio 1494 il marchese Francesco Il invitava il vescovo di Reggio a “concedere indulgenze e privilegi alla capella de Sancta Maria dali Miraculì ed a riconoscere i capituli de la compagnia” , vale a dire la regola che gli eremiti, guidati dal Redini, si erano impegnati ad osservare.
Con successivo breve apostolico del 3 giugno 1496, papa Alessandro VI incaricò il vescovo di Reggio, Gianfrancesco Arlotti, di esaminare ed approvare la regola dei religiosi con il titolo di Preti sotto la regola di S.Pietro ed Eremiti della Congregazione di Santa Maria in Gonzaga, che fu consegnata il 14 maggio 1502
L’abito ad essi prescritto era di colore nero, lungo fino ai piedi e con cappuccio, su una veste bianca, con la facoltà di coltivare la barba e di portare calzature.
La congregazione ebbe immediato seguito, appoggiata dal marchese Francesco II e da Girolamo Redini nelle vesti di Priore Generale.
Al primo Capitolo, tenutosi a Gonzaga nel 1502, presero parte numerosi religiosi provenienti dagli altri conventi che erano dislocati nello Stato di Mantova, ma anche fuori di esso.
In particolare nel mantovano gli Eremiti di Santa Maria di Gonzaga avevano due conventi a Mantova, uno annesso alla chiesa della Madonna della Vittoria, eretta nel 1496 e per la quale il Mantegna dipinse la splendida tavola, trafugata dai francesi alla fine del ‘700 ed attualmente al Louvre a Parigi; l’altro convento esisteva fuori porta Pradella, in adiacenza alla chiesa del Santo Sepolcro (edificio oggi scomparso).
A Gonzaga, venuto a mancare il Redini, guida insostituibile, diminuì rapidamente il numero degli eremiti e, nel 1577, la compagnia fu soppressa.
Il duca Guglielmo affidò il convento ai Carmelitani della congregazione di Mantova, ed essi lo tennero fino al 1777 quando anche il loro ordine fu soppresso per disposizione imperiale e la chiesa affidata per l’officiatura al parroco locale.
Pochi anni dopo, nel 1791, il quadro raffigurante la Beata Vergine dei Miracoli e gli altri arredi furono trasferiti nella chiesa parrocchiale di Gonzaga, ove tuttora si conservano.
Le origini del convento sono strettamente connesse con quelle della Fiera Millenaria di Gonzaga.
Nel 1495 il marchese stabiliva che la prima domenica di luglio si sarebbe dovuta celebrare la festa della Madonna e che si potesse commerciare ogni bene, senza il pagamento di dazi.
Un anno dopo, la festa fu spostata all’ultima domenica di luglio e, poco dopo ancora (sicuramente già nel 1499), definitivamente fissata all’8 settembre, ricorrenza della Natività di Maria.
Per tutto il secolo XVI fu confermata la fiera, con l’eccezione di qualche anno per motivi contingenti.
Dal 1580 poi, con l’arrivo dei Carmelitani, il duca Guglielmo concesse ai frati 33 biolche di terra per la loro sussistenza ed il privilegio della fiera dell’8 settembre, con esenzione da ogni dazio.
Tale privilegio fu confermato dai successori di Guglielmo e poi dagli imperatori austriaci, dopo il 1707.
Il complesso monumentale dell’ex convento di S. Maria ha subito notevoli integrazioni, modifiche e purtroppo demolizioni nel corso dei secoli.
Oggi si presenta con un chiostro sul quale si affacciano sale sia al piano terreno che al primo piano, limitatamente ai lati sud, ovest e parte del lato nord.
La restante porzione delle costruzioni a nord è crollata, mentre la chiesa è stata demolita, ad eccezione del presbiterio, inglobato in una successiva costruzione.
E’ comunque possibile individuare il nucleo originario, costituito da un piccolo cortile quadrato porticato e limitato per tre lati dalle costruzioni ad uso degli eremiti e per il quarto lato dalla chiesa.
L’accesso avveniva tramite un piccolo locale, adiacente alla facciata ed all’ingresso della chiesa, in fregio alla strada che da Gonzaga conduce a Reggiolo.
Il porticato, retto da colonne in cotto con capitelli a scudo dello stesso materiale, era coperto da volte a crociera in muratura e protetto dalle intemperie da un tetto in laterizio a quattro falde convergenti verso l’interno.
Difficile descrivere le caratteristiche della chiesa, quasi completamente demolita, ad eccezione del presbiterio che conserva, pur se nascosto, l’arco trionfale impostato su semicolonne e capitelli a scudo analoghi a quelli del chiostro.
Ben conservate invece le sale del lato sud e, dopo il recupero, del lato ovest, coperte da volte con testa a padiglione con vele perimetrali.
Il complesso, nel suo insieme, può essere avvicinato alla architettura degli ordini mendicanti, ed in particolare a coloro che osservavano la regola di S. Agostino, dal cui ceppo sembrano trarre origine gli eremiti di Gonzaga.
Particolarmente significativo, come già sottolineava Luisa Bertazzoni, il linguaggio architettonico impiegato dai costruttori: le colonne ed i capitelli a scudo, come pure l’impostazione generale del fabbricato, l’impiego di murature con giunti stilati e di finiture con intonaco dipinto a finto mattone si avvicinano alla tradizione locale tardogotica, quando, già da oltre mezzo secolo, anche Mantova aveva acquisito i modi e le forme proprie del rinascimento fiorentino.
Dopo l’ingresso dei Carmelitani il convento fu in parte ristrutturato per le mutate esigenze, proprie della vita comunitaria dell’ordine, con la sopraelevazione del porticato realizzando un corridoio perimetrale anche al primo piano.
Inoltre, intorno al 1640, i frati fecero fabbricare, in fregio alla strada, 70 occhi di portico che venivano affittati ai mercanti nel periodo della fiera, e che furono demoliti agli inizi di questo secolo.
L’aspetto interno del fabbricato mutò ancora nel secolo XVIII in particolare per quanto riguarda il chiostro, completamente reintonacato, con un basamento di color rosso mattone, le colonne bianche, i capitelli grigio-azzurri, bianco avorio le pareti soprastanti con l’eccezione delle finestre, limitate da una stilatura e coloritura a mo’ di falsa centinatura e delle cornici di gronda, che richiamavano il colore dei capitelli.
Le volte sotto il porticato furono alternativamente dipinte di bianco e giallo mentre tutte le lunette venivano affidate al pittore Pietro Mazzoccoli di Carpi, con il compito di dipingere scene della vita di S. Alberto degli Abati, oggi conservate solo in parte.’
Lo stesso pittore probabilmente decorò anche l’entrata, secondo quanto sostiene lo storico Eustachio Cabassi (Garuti).
Quest’ultimo locale è attualmente in corso di restauro: si spera di poter recuperare intatti i dipinti del Mazzoccoli, sotto vari strati di colore apposti successivamente.
Dopo la soppressione della congregazione carmelitana il convento fu abbandonato, la chiesa demolita, e la restante porzione del fabbricato passò attraverso vari proprietari: nel corso della prima meta’ del nostro secolo era abitato da circa una trentina di famiglie che, tamponate le arcate del chiostro e suddivisi i locali con tramezze, vivevano nella indigenza, garantendo da un lato la conservazione del fabbricato, ma provocandone dall’altro il degrado, con interventi incongruenti.
Negli anni ’70, abbandonato da queste famiglie, fu in parte adibito ad officina meccanica, con grave pregiudizio per le finiture e per le stesse strutture.
Nel 1980, l’ex chiostro ed i locali ad esso adiacenti, sono stati acquistati dal comune di Gonzaga ed è stato avviato un processo di recupero dell’immobile, a partire dalle opere di consolidamento e dal rinnovo della copertura.
Tratto da: “Gonzaga, Gonzaga”, a cura di Mario Cadalora.

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