Maria SS. di Belvedere

Descrizione

Descrizione

Il complesso del Santuario

«A prima vista la struttura architettonica del plesso si presenta come edificata in periodo tardo neoclassico con materiale del luogo (pietra gentile delle cave di Carovigno). Infatti tardo neoclassiche sono sia il muretto panca che circoscrive l’area antistante la chiesa, delimitandone in maniera molto chiara lo spazio di pertinenza, sia la facciata principale. Quest’ultima ha la forma di un portale con due lesene doriche altre circa otto metri che “portano” la trabeazione ed il timpano.
La chiesa superiore si rifà, nella forma, all’architettura delle prime basiliche cristiane di forma longitudinale; consta di una solo navata scandita in tre campane. In uno dei lati corti vi è l’ingresso; nel lato opposto vi è una cavità semicircolare (abside) coperta da una mezza cupola (catino). La copertura è con volte a crociera per ogni campata, portate da quattro pilastroni addossati alle pareti.
Se nella forma la chiesa si rifà all’architettura romanica, per il resto ci troviamo di fronte ad un organismo dove domina l’equilibrio dell’architettura rinascimentale fondato su rapporti proporzionali tra lunghezza, larghezza ed altezza.
Di fronte all’unica finestra, sulla destra di chi entra, vi è una scala scavata nella roccia attraverso cui si scende nella prima cripta caratterizzata da un altare di tipo basilicale eretto nel 1501 assieme alla chiesa sovrastante. Di pregevole fattura, è formato da un baldacchino addossato alla parete, portato da esili colonne, sormontate da capitelli e da una complessa trabeazione. I “timpani” su tre lati, sono di forma semicircolare ed hanno al centro tre stemmi riproducenti l’arma della famiglia Loffreda, feudataria di Carovigno.
Sul lato opposto alle scale su indicate vi è un’altra rampa che scende verso la seconda grotta posta a circa dodici metri di profondità rispetto alla quota stradale. Questa è stata sistemata con una pavimentazione in mattoni su un riempimento di materiale di risulta di circa cm. 60. In questa grotta vi sono un altare del XVIII secolo, con l’icona della Vergine Maria, ed altri affreschi. Inoltre, in questa grotta, si può notare il letto del fiume sotterraneo ormai asciutto, che, tangente alla stessa, si snoda in direzione Est-Ovest.»
 (per queste notizie si veda soprattutto la Relazione sulle strutture architettoniche del Santuario, firmata in data 12 febbraio 1980 dall’architetto Gianni Manco di Conversano e riportata in Il Santuario di S. Maria di Belvedere. Storia, fede ed arte. La Nzegna di Carovigno di Enzo Filomena)
Nel corso del tempo il Santuario è stato denominato in modi differenti. Indicato in origine come Sant’Angelo de Luco e in seguito come Santa Maria di Lucula, dagli inizi del secolo XVI fino ad oggi, gli risultano attribuiti i nomi di Ben Videre, Bellovidere, Bel Vedere, fino all’attuale Belvedere.
La prima apparizione nella lingua italiana del nome Belvedere, con il significato di “luogo elevato da cui si vede un vasto panorama”, è della fine del Cinquecento. Le località che portano il nome Belvedere sono centinaia, tra cui 4 comuni e, per lo meno, tre Santuari, situati precisamente in Città di Castello (Perugia), in Oppido Lucano (Potenza), e in Sampierdarena (Genova). Belvedere è anche un nome femminile tipico di Carovigno ispirato dalla devozione a Maria in questo Santuario (per queste notizie si veda soprattutto Focus Storia n. 16 ott.-nov. 2007, p. 84)

Origine e sviluppo del Santuario

Per comprendere l’origine del Santuario e il suo evolversi è necessario richiamarne lo sfondo storico, il quale, nelle sue linee generali, è ben noto.
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, il Salento subì la dominazione dei Bizantini. Se pur è vero che l’invasione longobarda dell’Italia, iniziata nel 568 d.C., penetrò fino in Puglia restringendo il dominio bizantino alle coste e alla penisola salentina e producendo un profondo mutamento nell’organizzazione civile ed ecclesiastica, è altrettanto certo che la costante penetrazione della Chiesa d’oriente caratterizzò la vita religiosa del territorio. Come dicono gli storici, 
vi erano paesi abitati completamente o in gran parte da greci e il clero latino era misto a quello greco. Quest’ultimo, poi, era in prevalenza in molte diocesi del Salento e della Calabria, dove fiorivano monasteri greci. Il monachesimo, in particolare quello ispirato a San Basilio, era infatti molto diffuso, e i Basiliani istituirono ovunque cenobi, raccogliendo intorno ad essi la popolazione impegnata nel lavoro dei campi.
L’arrivo dei Saraceni che, sbarcati a Brindisi nell’838, dilagarono in tutta la Puglia, non mutò sostanzialmente la situazione, anche perché costoro non riuscirono a inserirsi in profondità nel tessuto sociale, economico, religioso e politico della regione. Occupano sì Bari, verso la fine dell’847, facendone una città musulmana (vi edificano infatti anche una moschea), e costringendo gli abitanti della Puglia a pagare pesanti tributi per evitare il saccheggio, ma alla fine il complesso intreccio di vicende si risolvette a favore dei Bizantini, che in Puglia assunsero un dominio più stabile. Il secondo millennio cristiano si apre così con la Puglia sotto governo bizantino che ha in Bari la sua residenza.
Ma è proprio agli albori del nuovo millennio che hanno inizio nuovi e radicali cambiamenti. Nel 1009, in concomitanza di una terribile carestia, insorgono contro i Bizantini varie città (Bari, Bitonto, Trani…). L’insurrezione antibizantina è guidata da un ricco proprietario e commerciante longobardo di nome Melo, cittadino barese, i cui tentativi tuttavia falliscono. La tradizione afferma che fu proprio Melo che, dopo aver incontrato nel Santuario di S. Michele sul Gargano una quarantina di cavalieri Normanni di ritorno dalla Terra Santa, incoraggiato da papa Benedetto VIII e dai principi Longobardi, rinnovò l’insurrezione con l’appoggio di mercenari Normanni nel 1017, dando così inizio alla capillare penetrazione normanna in Puglia e in tutta l’Italia meridionale.
Per i Normanni fu relativamente facile inserirsi nelle lotte interne tra Longobardi e Bizantini, riuscendo ad ottenere ben presto terre e benefici. Nel 1059 Roberto il Guiscardo degli Altavilla stipula a Melfi un accordo con Papa Niccolò II nel quale si dichiarava formalmente suo vassallo in cambio del titolo di duca di Puglia, comprendente anche la Basilicata, la Calabria, parte della Campania e la Sicilia (all’epoca, tuttavia, ancora in mano agli Arabi).
L’interesse del Papa includeva la messa sotto controllo pontificio di quelle “terre di confine”, necessarie, tra l’altro, per le spedizioni crociate. Dopo il primo traumatico impatto fra le popolazioni di Puglia e i Normanni, (i cronisti riferiscono di soprusi e angherie di ogni sorta nei confronti delle città pugliesi) la situazione generale migliorò.
Nel 1071 Roberto il Guiscardo scaccia i Bizantini da Bari e da Brindisi; ma mentre i Longobardi, che ebbero nell’VIII secolo la massima espansione in Puglia, miravano alla loro totale espulsione, agendo nel costume e negli ordinamenti giuridici delle popolazioni locali con il preciso intento di allontanarle da ogni influenza orientale, ai Normanni fu sufficiente introdurre il feudalesimo, limitandosi ad instaurare la gerarchia episcopale latina e assoggettando ad essa i greci ancora stanziati sul territorio.
Il che da ragione al fatto che il rito greco-cattolico, le chiese ed i preti greci siano sopravvissuti in Puglia fin dopo il Concilio di Trento (1563), anche se, non appena gli eserciti Bizantini e il rispettivo apparato burocratico ed amministrativo ebbero lasciato il Salento, cominciò inarrestabile la progressiva assimilazione al mondo latino, a partire dal passaggio dall’uso del greco all’uso, anche colto, della lingua di Roma.

In particolare

È tradizione fondata che nel primo millennio dell’era cristiana, in epoca bizantina, l’attuale grotta di Belvedere era utilizzata da comunità monastiche di rito greco quale riferimento per la colonizzazione del territorio e la sua riduzione a coltura.
Successivamente la comunità greca abbandonò questo luogo, o per essersi lasciata assorbire dalla comunità latina, o per aver scelto, come altre, di trasmigrare in località di più massiccia presenza bizantina.
Il luogo rimase così abbandonato, anche per il progressivo concentrarsi della popolazione nei centri urbani, e venne dimenticato. La devozione in esso rifiorì quando la grotta venne ritrovata, probabilmente in età normanna e in concomitanza con la ripresa della coltivazione delle campagne. Da allora la grotta di Belvedere rimase sottoposta alla giurisdizione di enti ecclesiastici latini.
Tra gli elementi presenti nei racconti scritti nei quali si descrivono le modalità del ritrovamento, spicca il costante riferimento a Conversano, il che induce alcuni a credere che ci si voglia riferire a qualcosa accaduto quando il normanno Goffredo era comes et dominator di Conversano (città dove era tenuto a servizi feudali) e amministratore della bassa giustizia a Brindisi, Nardò e Ruvo, secondo documenti che vanno dal 1074 al 1104. Goffredo morì nel 1101.
Quello che è certo, sulla base di documenti della Curia di Ostuni, è che la grotta di Belvedere era officiata dalla Chiesa Latina già nell’anno 1160.

Il “ritrovamento”

La versione ufficiale del ritrovamento, che lo storico di Carovigno Enzo Filomena ha elaborato, è la seguente:
«Ad un Signore di Conversano da parecchio tempo ammalato, un giorno apparve la Madonna che reggeva sul braccio destro un uccello vivo e sulla sinistra il Bambino Gesù. Quella Signora disse in sogno al povero sofferente che se voleva recuperare la sua salute si sarebbe dovuto recare nelle terre di Carovigno e quivi cercare la sua Immagine sul colle di Belvedere. Il malato non frappose indugio e partì con familiari e servi.
Dopo un estenuante viaggio giunse in paese. Credendo che lì il culto alla Madonna già esistesse, domandò dove si trovasse il Santuario, ma rimase abbastanza deluso nel sentirsi rispondere che poco lontano dal paese esisteva soltanto una contrada denominata Belvedere la quale era destinata al pascolo degli armenti.
Noleggiata quindi una guida, i diversi uomini che accompagnavano il Signore di Conversano cominciarono a cercare per quella contrada; ma sembrò vano ogni loro sforzo. Si stabilì, allora, di fare ritorno. Ma ad un tratto s’udirono delle grida di aiuto: erano di un mandriano che reclamava la caduta di una sua mucca in un roveto.
Per soccorrere la bestia, “replicarono colpi d’acciaro, tagliarono le spine vuoi con la zappa, vuoi col bipenne”, e nel fondo di una spelonca la trovarono. “Come avita storia narra, la vacca era in ginocchi” di fronte all’Icona della Vergine.
Il malato, appreso il fatto e trascurando i pericoli della discesa, si fece calare giù. Vide, osservò ed in quella immagine riconobbe la Vergine, apparsagli a Conversano. Pregò e fu guarito.
Così, non sapendo ancora come esternare la sua gratitudine a quella gente nel cui territorio aveva potuto trovare la grotta con la Vergine, comprata quella vacca ed ornatala con monili, fasce e ghirlande, la portò su a Carovigno. Qui il suo giullare cominciò a buttare in aria una bandiera multicolore confezionata occasionalmente ed in maniera rudimentale. Fu questo un efficace sistema di richiamo per i carovignesi che, saputo del miracolo, pregarono anch’essi l’Onnipotente. La loro gioia fu di gran lunga accresciuta quando seppero che quell’animale era loro destinato affinché, alla stessa maniera di quel conversanese, potessero festeggiare il lieto evento con un lauto pranzo. Da qui la prima agape cristiana di derivazione belvederiana.»
A seguito di questi avvenimenti prende avvio la storia tuttora in corso del Santuario Maria SS. di Belvedere, storia fatta di miracoli, di devozione popolare, di tradizioni e di quanto può essere atto a fare di questo Santuario un luogo di incontro con Colei che “in Belvedere ha posto il trono della Sua misericordia”.

Dopo il “ritrovamento”

Padre Serafino Montorio, predicatore generale e priore del convento napoletano di S. Maria della Sanità, nel suo Zodiaco di Maria pubblicato nel 1715, nella “scheda” dedicata al Santuario di Belvedere (Stella XXVIII del Segno VII), afferma che, reso noto il ritrovamento della miracolosa immagine, il concorso dei popoli alla sacra Grotta fu incredibile , tanto che non ci andarono solo i fedeli della Japigia (Puglia), ma di tutte le altre provincie del Regno. Questo diede la possibilità, riferisce padre Montorio, ai Feudatarii di Carovigno allora viventi di edificare sul luogo del ritrovamento una magnifica chiesa con larga e grande scalinata per cui si scende alla Sacra Grotta.
E, in effetti, tra il 1500 e il 1501 venne costruita l’attuale chiesa ed eretto l’altare basilicale nella prima sezione della grotta (cripta). Tale opera fu commissionata da Pirro Loffreda, zio del Barone di Carovigno, Giovanni Gaspare Loffreda, e realizzata da Giovanni Lombardo di Ostuni, come si può leggere sul fronte del baldacchino sormontante detto altare: «HOC OPUS CUM ECCLESIA FE. ECCELLENS DOMINUS PIRRUS DE LOFFREDA DE NEAPOLIS SUB DOMINIO ECCELENTIS. DOMINI IOANIS GASPARIS DE LOFFREDA EIUS NEPOTIM DOMINUS TERE CAROVINETI PER IOANE LOMBARDO DE HOSTUNIO SUB ANO 1501 (QUEST’OPERA CON LA CHIESA FECE L’ECCELLENTE SIGNORE PIRRO LOFFREDA DI NAPOLI SOTTO LA SIGNORIA DELL’ECCENTISSIMO SIGNORE GIOVANNI GASPARE LOFFREDA SUO NIPOTE SIGNORE DELLA TERRA DI CAROVIGNO PER LA MANO DI GIOVANNI LOMBARDO DI OSTUNI NELL’ANNO 1501)».
I graffiti lasciati dai visitatori e l’esecuzione di affreschi votivi confermano intensa frequentazione e non sporadici pellegrinaggi per tutto il sedicesimo secolo. Nel 1728 viene costruito un nuovo altare nella seconda grotta, a iniziativa del carmelitano Giuseppe Maria Marraffo, cappellano di Belvedere, forse coadiuvato nell’intrapresa dal confratello Placido Colucci.
Nel 1875 Alfredo Dentice dei principi di Frasso, che sulla chiesa vantava un contestato diritto di patronato esercitato nei secoli precedenti, a partire dai Loffreda, da quanti avevano avuto signoria feudale su Carovigno, restaurò e ampliò la chiesa lasciandone memoria epigrafica e rendendole, nell’essenziale, l’aspetto attuale.

Fonte: https://santuariomariasantissimadibelvedere.wordpress.com/origine-e-sviluppo-del-santuario/

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