S. Calogero Eremita

Descrizione

Descrizione

Questo luogo di culto è sorto agli inizi del XX secolo al posto di una precedente chiesa non più esistente. Originariamente si era pensato di edificare un santuario con pianta a croce latina molto più grande dell’attuale ma successivamente, per problemi di spazio, si pensò di chiudere il primo braccio ad abside.

L’esterno è molto semplice ed essenziale e non denota elementi architettonici di pregio se non delle paraste in facciata che incorniciano il lineare portale ad arco. L’interno, ad unica ampia navata, ospita lateralmente statue e pitture degli inizi del XX secolo fatta eccezione per un’Immacolata settecentesca. L’altare maggiore ospita la ricca custodia lignea che intronizza in posizione sopraelevata la cinquecentesca statua di San Calogero la quale, più volte l’anno viene scesa, mediante un sofisticato sistema meccanico, per essere condotta in processione.

LA STORIA

Le notizie relative alla biografia del Santo sono frammentarie e indirette e, nonostante il nostro  meticoloso lavoro di  ricerca, “non abbiamo, e probabilmente non avremo mai, una vera vita di S. Calogero”. Le uniche due fonti in nostro possesso, indipendenti l’una dall’altra, sono gli  inni  del monaco Sergio e le 12 letture del Breviario romano – gallicano. Alle notizie tratte dalle fonti scritte abbiamo voluto aggiungere delle testimonianze che fanno parte della tradizione orale; il nostro intento non è, ovviamente, mettere in discussione le sole documentazioni autentiche che possediamo, ma valorizzare e diffondere alcune delle innumerevoli storie e leggende tramandate da padre in figlio, palese testimonianza del grande affetto e della devozione che i fitalesi nutrono nei confronti di S. Calogero. Ci incuriosiva  sapere in che modo la statua di  San Calogero fosse giunta a S. Salvatore di Fitalia, giacché in nessuna fonte ufficiale è riportato l’arrivo del santo  nella nostra comunità.

STORIE E LEGGENDE

I muli

Si racconta che un tempo a San Salvatore ci fosse un signore di nome Don Peppi il quale, essendo proprietario di due muli selvatici, cercava di addomesticarli facendoli abituare al lavoro. Un giorno caricò i due animali di rasciura (letame) e si avviò verso  un suo appezzamento di terra; giunto nel podere cercò  di scaricare il letame ma i due muli, imbizzarriti, cominciarono a scalciare contro lo sventurato. Il malcapitato tentò con ogni mezzo di sottrarsi alla furia distruttiva dei due animali, ma invano; alla fine, non riuscendo in alcun modo a mettersi in salvo, si rivolse al Santo protettore dicendogli:

 -San Caloriu, sulu tu mi po’ ajutari, si mi sarvi ti prummettu nu mulu.

Aveva appena terminato di pronunciare quest’accorata invocazione quand’ecco, dalle campagne circostanti, giunsero trafelati alcuni vicini che erano stati richiamati dalle sue grida. I soccorritori liberarono l’uomo e lo portarono in paese, qui  don Peppi fu curato ma dovettero passare parecchi mesi prima che si ristabilisse completamente. Nel frattempo l’uomo aveva dimenticato la promessa fatta a San Calogero, ma una notte il Santo gli apparve in sogno e gliela rammentò :

– Ti scurdasti chi mi prumittisti u mulu?

Allora don Peppi, rammentando la sua invocazione, si affrettò ad assolvere la promessa, ma non secondo i termini in cui l’aveva formulata. Egli pensò infatti, per non disfarsi del mulo che rappresentava la sua unica fonte di sostentamento, di far “stimare” (valutare) l’animale; poi portò al Santo il denaro corrispondente al valore del quadrupede, sicuro di aver così “sciolto” il suo voto. Invece di lì a poco San Calogero gli apparve nuovamente in sogno e lo ammonì dicendogli:

-Tu mi prummittisti nu mulu e jò u mulu vogghiu, no i sordi.

Don Peppi s’arrispigghiò scantatu, ma capì  di non essersi comportato in modo  coerente perciò, il giorno dopo, andò a riprendersi il denaro e lasciò al Santo il mulo promesso.

L’episodio viene ancora rammentato da alcuni anziani i quali, a conclusione del loro racconto, sono soliti dire:

–  Si don Peppi non ci purtava u mulu  a San Caloriu, a videva arriminata!

La fava

Tra le  ” devozioni” che ancora oggi  vengono raccontate nella nostra comunità c’è la storia della FAVA, evento di cui non possiamo attestare l’autenticità perché non è riportato in nessuna fonte ufficiale, ma che fa parte della tradizione orale e indica l’incondizionata fiducia della gente nei confronti di San Calogero.

Il racconto evidenzia altresì la percezione che del Santo ha l’immaginario collettivo: Egli non chiede ricchezze materiali, ma una fede sincera.

Una donna era molto afflitta perché il suo figlioletto, ormai da diverso tempo, soffriva a causa di una febbre altissima di cui non si riuscivano a capire le cause. Dopo aver invano consultato alcuni medici la madre, devota di San Calogero, suggerì al figlio di invocare la protezione del Santo e di promettergli qualcosa in “voto”. Nella sua spontaneità fanciullesca il bimbo promise una fava, forse perché era un alimento che gli piaceva, o perché erano tempi difficili ove anche le cose più comuni parevan preziose o, più semplicemente, perché fu la prima cosa che gli venne in mente.

Di lì a poco il bimbo guarì e la madre, ricordando la promessa, fece coniare una fava in argento per assolvere il voto.

Dopo qualche tempo, tuttavia, suo figlio si ammalò nuovamente e la donna ricadde nella disperazione: non sapeva a chi appigliarsi, cosa fare.

Una notte, però,  San Calogero le apparve in sogno chiedendole la fava che gli era stata promessa. La donna, stupita, rispondeva di aver già assolto il “voto”, ma il Santo ribatteva dicendole :

– Tu no mi purtasti a fava chi mi prummittiu to figghiu, chidda jò vogghiu!  “Tu non mi hai portato la fava che mi promise tuo figlio, io voglio quella”.

Ella a questo punto capì di aver in effetti disatteso la reale promessa del figlio e si affrettò a sostituire la fava d’argento con quella naturale. Solo allora il piccolo guarì completamente.

 

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