S. Maria della Libera

Descrizione

Descrizione

Il santuario Santa Maria della Libera di Cercemaggiore sorge ai piedi del monte sul quale è ubicato il centro abitato, dal quale dista circa 2-3 Km.

Fondato assieme ai locali del convento alla fine del XV secolo dai feudatari Alberico Carafa e Giovannella di Molise, l’edificio originario ha subito nel corso dei secoli alcune trasformazioni, fino a raggiungere le attuali dimensioni di metri 37 in lunghezza e metri 12,54 in larghezza.

La devozione e il culto della Madonna della Libera inizia nel lontano 1412, a seguito del ritrovamento della statua da parte di un contadino intento ad arare il campo.
Il titolo di “Madonna della Libera” pare sia stato dato la prima volta all’epoca del dominio longobardo su Benevento e precisamente nel 663 D.C., anno in cui i beneventani, incoraggiati da S. Barbato, già parroco di Morcone e poi Vescovo di Benevento, resistettero vittoriosamente all’assedio posto dall’imperatore bizantino Costante II, nipote di Eraclio. La “liberazione” venne attribuita alla Vergine che ebbe così, da allora in poi, il titolo di “Liberatrice” o “della Libera”.
Il Bollettino della Diocesi di Benevento racconta così la liberazione dall’assedio per intercessione di Maria Santissima: «Assediata la città di Benevento dall’imperatore Costante che, espulso da Costantinopoli, era venuto in Italia per ristabilirvi l’Impero d’Occidente, S. Barbato, che in quella città si trovava, incoraggiò i cittadini e il Duca Longobardo Romualdo a fidare in Dio, mostrando loro Maria SS. visibilmente apparsagli su una candida nube, e pronunciando queste memorabili parole: “io l’ho pregata; Essa già viene in vostro aiuto; guardatela!”. Quel giorno stesso l’implacabile nemico Costante toglieva pacificamente l’assedio a Benevento, e prendeva la via di Napoli. A tale prodigio il Duca acclamò Barbato Vescovo di Benevento, e gli offrì ricchi donativi, ai quali il santo rinunziò, impetrando solo da Romualdo che a quella diocesi fossero unite le chiese di Siponto e Monte Gargano» (Anno I, n. 5, pag. 81 e il Libello della Diocesi di Benevento).
I Beneventani incominciarono a professare un grandissimo culto vero la Madonna, e ad essa eressero una chiesetta sulla via di porta Rufina e ne fecero scolpire in legno una statuetta nell’atteggiamento in cui era apparsa a S. Barbato invocandola con il titolo venerabile della “Libera”. Il culto della Madonna della Libera si propagò rapidamente in tutta l’area longobarda del Mezzogiorno, giungendo fino a Cercemaggiore, e numerose furono le statue scolpite e modellate su quella di Benevento.
Da sei secoli la cara Mamma della Libera è vicina a quanti –con fiducia– si rivolgono a Lei per impetrare aiuto e protezione.
IL SEGNO DELLE MANI ELEVATE  
Il segno delle mani elevate è un gesto assai significativo, che troviamo frequentemente nei racconti biblici.madonna della libera frontale_hid
Venne usato da Mosè sul monte e dagli Ebrei quando pregavano. Indubbiamente anche Gesù pregava così e così pregavano i Cristiani nei primi secoli.
Prevalse poi il segno delle mani giunte, parimenti bello ed efficace, per l’influsso delle Religioni orientali. ma il Sacerdote continuò a pregare con le mani elevate, specialmente durante la celebrazione eucaristica.
In varie parti del mondo tuttora i fedeli innalzano a Dio la preghiera, in privato e in pubblico, con le mani elevate.
L’alzare le braccia verso il cielo, quando si parla con Dio,è un gesto naturale, direi, istintivo:
è un arrendersi a Dio, quando si è consci di essere peccatori e s’invoca la misericordia divina;
è uno slanciarsi verso il Padre quando si gioisce di sentirsi suoi figli;
è un aprirsi nell’amore a tutti i fratelli e a tutte le creature, che vivono e si incontrano nel cuore del Padre di tutti;
è un offrire se stessi a Dio, quando il cuore, commosso, innalza a Lui i sentimenti irrompenti di adorazione, di lode, e di ringraziamento;
è un implorare lo Spirito divino, mentre si esprime l’anelito verso i beni eterni;
è un impennare le ali dell’anima e del corpo per staccarsi da tutto ciò che è terreno e deteriore nel mondo e lanciarsi verso il Cielo, nostra eterna dimora col Padre e il Figlio e lo Spirito Santo.

 

Nei lavori di restauro architettonico del complesso conventuale realizzati nel periodo 2011-2013, rimosso il rivestimento in lastroni di pietra levigata del 1970, è stato riproposto lo schema della facciata della chiesa del 1919-20, che fu progettato dall’architetto Antonio Pierro di Saviano su commissione di P. Giordano Pierro. L’odierna facciata si presenta dunque con lesene aggettanti, rosone in ferro e statua di coronamento.

Sul portale d’ingresso, che conserva gli originali elementi rinascimentali (architrave, stipiti e archivolto), è ancora parzialmente leggibile l’iscrizione che indica le date 1412, anno del ritrovamento della statua lignea mariana, e 1500, anno in cui avrebbe avuto termine l’edificazione del santuario. Degno di nota è anche il portale a battenti lignei, esternamente rivestito da lamine di ferro fissate con filari di borchie, realizzato nel 1787 e fortunosamente sopravvissuto alle varie proposte di ammodernamento.

L’interno si presenta a navata unica, affiancata da cinque cappelle su ognuno dei due lati. La struttura è priva di transetto ed al corpo della navata è direttamente annesso il profondo coro. Alle pareti sono addossate lesene con capitelli ionici, sorreggenti una trabeazione ugualmente ionica, e al di sopra si eleva la volta a botte, decorata con stucchi a rosette e foglie di quercia, realizzata nel 1858 in sostituzione del più antico soffitto a tavole lignee.

In corrispondenza delle ultime cappelle presso l’altare maggiore si imposta sulla navata una finta cupola ovoidale, il cui spazio fu decorato con stucchi che si ripartiscono in un medaglione centrale raffigurante lo Spirito Santo sotto forma di colomba, motivi floreali a rosette e teste di angeli. Nella lunetta posta sull’arco trionfale che introduce all’area del coro si stagliano la croce del martirio, la corona di spine ed il sudario, modellati a rilievo ed immersi nel contesto paradisiaco degli angeli tra le nubi. Invece, al di sopra del primo arco trasversale della navata campeggia un cartiglio che reca la scritta «QUASI STELLA MATUTINA», indicante uno dei numerosi titoli della Vergine.

Le due acquasantiere, collocate nei pressi dell’ingresso della chiesa, sono entrambe cinquecentesche. Quella di sinistra, snella e di una sobria eleganza, presenta nella vasca un disegno costituito da un triangolo formato da tre pesci, attaccato da due serpenti che non riescono ad oltrepassare la barriera: si rappresenta l’inefficacia del peccato (i serpenti) contro la perfezione divina (il triangolo). L’acquasantiera di destra, in realtà una fontana adattata ad acquasantiera nel XVIII secolo, reca invece sul bordo esterno della vasca un’iscrizione con l’anno di fabbricazione del pezzo (1555) ed il nome del priore del tempo, nonché tre teste leonine aggettanti. Il piede della fontana-acquasantiera è scolpito con due stemmi, l’uno appartenente all’Ordine domenicano e l’altro non più leggibile. In quest’ultimo si è proposto di leggere un’abrasione volontaria dello stemma Carafa per damnatio memoriae, in circostanze che devono essere tuttavia ancora verificate.

Presso l’ingresso si può ammirare anche l’organo a canne, esemplare settecentesco variamente rimaneggiato e in attesa di restauro.

Proseguendo lungo la navata, sulla pavimentazione nei pressi dell’area presbiteriale è ancora apposta la lastra indicante l’antico accesso alla cripta dei frati, recante tra gli altri elementi un’iscrizione quasi totalmente scomparsa e l’anno 1750. La cripta, fino a qualche tempo fa facilmente accessibile dall’ingresso spostato nella quinta cappella di sinistra, si costituisce di un basso ed angusto ambiente con rustica copertura a volta. Lungo le pareti sono dislocati i sedili lapidei sui quali venivano adagiati i corpi dei defunti. Completa l’arredo l’altare trilitico ugualmente in pietra.

La fossa quadrata, che si apre davanti alla quarta cappella di sinistra e che è stata chiusa recentemente con lastra vitrea, indicherebbe il luogo del rinvenimento della statua mariana.

A dividere la zona dell’altare dallo spazio della navata era, fino agli anni ’70 del Novecento, la bella recinzione presbiteriale settecentesca che fu poi rimossa e parzialmente rimontata nella quinta cappella di sinistra. Lavori eseguiti nel 2007 ne hanno sancito la completa rimozione.

Dubbi persistono circa la provenienza e la datazione dei due leoni in pietra posti a fiancheggiare l’area presbiteriale. Potrebbe trattarsi di due leoni romanici stilofori provenienti dalla chiesa di Santa Maria a Casale, chiesa d’origine della scultura della Libera, dove si suppone potessero essere utilizzati come basi di colonne nell’ambito di un pulpito o del portale d’ingresso. Databili con qualche esitazione al XIII-XIV secolo, i due leoni furono reimpiegati nella balaustra che fungeva da recinzione presbiteriale e, dopo la rimozione di quest’ultima, trovarono l’attuale collocazione.

La porta posta nella quinta cappella di destra, che permette l’accesso all’anticamera della sagrestia, fu probabilmente realizzata nel XVII secolo e reca battenti lignei scanditi in riquadri alternamente quadrangolari con rosetta centrale e rettangolari a specchiatura liscia.

Il coro in legno di noce, che fa da corona al trono della Madonna della Libera, si presenta purtroppo ridimensionato secondo il taglio operato nella seconda metà del Novecento allo scopo di liberare lo spazio dell’altare. Di probabile origine settecentesca, si costituisce di due fila di sedili decorati con intagli a volute e, nelle specchiature superiori, lesene aventi capitelli compositi sorreggenti una trabeazione liscia. Lo stallo centrale è segnalato da un’imponente struttura lignea a baldacchino.

Del tardo novecento sono le tre vetrate policrome, presenti due nell’area del coro ed una in controfacciata.

Lavori imponenti sono stati realizzati dopo il terremoto del 2002. Il santuario, che versava in una situazione già precaria dal punto di vista strutturale, fu così ulteriormente e gravemente danneggiato, rendendo pertanto necessaria un’operazione di consolidamento generale delle pareti e delle coperture. Sulla scia di tali lavori, verso la fine del 2007 sono stati eseguiti ulteriori interventi, ritenuti funzionali ma purtroppo non sempre rispettosi del principio di conservazione delle memorie storiche ed artistiche del luogo.

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