Santuari servizio gioioso al Vangelo

Dic 02 2015

Santuari servizio gioioso al Vangelo

50° Convegno Nazionale dei rettori e operatori dei Santuari Italiani – Roma, 23 novembre 2015 – “I santuari al servizio della gioia del Vangelo”

S.Em. card. Beniamino Stella

Cari confratelli rettori e operatori dei Santuari italiani, a voi tutti rivolgo il mio più cordiale salute in apertura di questo convegno “giubilare”della vostra Associazione. Ho accettato volentieri la richiesta che p. Mario Magro e don Luca Saraceno mi hanno rivolto, anche a nome di voi tutti, a prendere parte ai vostri lavori in occasione di questo Convegno, il 50°, a partire da quella prima riunione, tenutasi dal 29 novembre al 2 dicembre 1965.

 In questi giorni non ci limitiamo a commemorare un evento passato, autocompiaciuti e ripiegati sul cammino fatto e sulle belle occasioni di fede, vissute attraverso questa Associazione, nei santuari di tutta Italia. Mi piace pensare a questo Convegno come ad un’occasione per dare forma concreta alla “Chiesa in uscita”, più volte auspicata da Papa Francesco. Ognuno di voi ha lasciato la sua realtà quotidiana, per mettersi in dialogo e a confronto con gli altri membri dell’Associazione, attraverso le proposte e la mediazione dei relatori, in vista di una sempre più efficace partecipazione di ogni santuario alla missione evangelizzatrice della Chiesa.

 Allora il tema, che avete voluto darvi per questa Assemblea nazionale, ci conduce a rivolgere l’attenzione alla natura stessa di quei peculiari luoghi di fede che sono i santuari, in spirito di ringraziamento per il cammino percorso insieme, sino a qui, ma con uno sguardo profetico, proiettato al futuro. L’ormai prossimo inizio del Giubileo della Misericordia è una circostanza felice, all’interno della quale porre questa nostra riflessione, perché ci dà la possibilità di soffermarci su quel volto speciale della nuova evangelizzazione, costituito dal rinnovato annuncio agli uomini della misericordia di Dio.

 Articolerò questo intervento attraverso quattro momenti, nei quali mi soffermerò su quattro “volti” dell’unica realtà del santuario, dalla sua prima origine, sino alla sua più diretta missione a servizio della fede del Popolo di Dio. Intendo quindi parlare del santuario come a) focolaio di fede, b) avamposto di misericordia, c) luogo di preghiera e d) fonte di evangelizzazione.

 a) Focolaio di fede. Il santuario è il luogo di culto che nasce dall’incontro tra l’iniziativa divina e l’accoglienza di essa, nella fede, da parte del popolo. La fede è l’elemento primario, che caratterizza ogni santuario; in primo luogo mi riferisco alla fede che Dio ha negli uomini e nella loro capacità di ascoltarlo e accoglierlo, di essere Suoi “cooperatori” nella custodia del creato. Dio ha grande fiducia negli uomini, non so quanto spesso pensiamo a questo; ho l’impressione che nella maggior parte dei casi la fede venga intesa a senso unico, dall’uomo nei riguardi di Dio, e che si pensi poco al movimento opposto, quello da Dio verso noi uomini.

 All’origine di ogni santuario, tuttavia, vi è proprio l’iniziativa divina, che si manifesta in vario modo, attraverso l’intervento di Maria o la presenza di qualche Santo, che ad iniziativa di Dio pone un segno tra gli uomini per richiamarli alla fede. Questa è l’esperienza fondamentale che ogni uomo può fare in un santuario, quella di una ricerca di Dio che si trasforma nella consapevolezza di essere stati cercati e chiamati da Lui; «Noi diciamo che dobbiamo cercare Dio, andare da Lui, ma quando noi andiamo, Lui ci aspetta, Lui è prima! Noi, in spagnolo, abbiamo una parola che spiega bene questo: “Il Signore sempre ci ‘primerea’”, è primo, ci sta aspettando! E questa è proprio una grazia grande: trovare uno che ti sta aspettando», come ha ricordato Papa Francesco di fronte ai rappresentanti dei Movimenti, delle nuove comunità, delle aggregazioni laicali e delle Associazioni  (Veglia di Pentecoste, 18 maggio 2013).

 La fede è al centro della vita dei santuari. Penso innanzitutto alla fede cercata, da coloro che ancora non conoscono Cristo, o che lo hanno dimenticato, che vedono il Suo volto appannato, o sfigurato, dal loro peccato, da scandali patiti o dalle circostanze dolorose della vita. Coloro tra questi che non si sono lasciati sopraffare dallo scoramento o inchiodare dall’indifferenza possono avvertire il richiamo della fede, che si irradia attraverso una manifestazione di Cristo, di Maria o di un Santo.

 Spesso infatti i santuari attirano gli uomini di buona volontà, che sono in una sincera ricerca del senso della loro vita, e quindi, anche inconsapevolmente, di Dio. È importante perciò che questi luoghi abbiano sempre «la forma di una casa accogliente, con le porte aperte», come Papa Francesco ha ricordato in una Udienza del mercoledì (9 settembre 2015).

 Dietro queste “porte aperte” si trovano spesso storie di santità semplice, devozioni capaci di arrivare al cuore e di coinvolgere; non è in primo luogo la fede del ragionamento, che mira a “convincere”, ma quella che tocca le corde più profonde, scuote dal torpore della quotidianità e fa “sentire” che c’è qualcosa, oltre quello che appare e che riempie le giornate; il santuario è il luogo in cui “sentire” la fede e la presenza di Dio. Non è cosa di poco conto, e, con le parole di Papa Francesco, possiamo parlare di una «“spiritualità popolare” o “mistica popolare”. Si tratta di una vera “spiritualità incarnata nella cultura dei semplici”. Non è vuota di contenuti, bensì li scopre e li esprime più mediante la via simbolica che con l’uso della ragione strumentale» (Evangelii gaudium, n. 124).

 Oltre alla fede cercata, possiamo poi pensare a quella vissuta, quella che aspetta dai santuari un’occasione per ricaricarsi e alimentarsi, per essere sostenuta e irrobustirsi. È la fede di chi è già diventato discepolo di Gesù e abbisogna di una sosta insieme al suo Signore, nel silenzio, nel raccoglimento e nell’intimità, che i santuari possono offrire.

 Il nostro tempo, così chiassoso, frenetico, individualista, così spesso organizzato attraverso “riti sociali” e comportamenti indotti, ha grande necessità di luoghi così, dove la fede possa passare da persona a persona, attraverso l’incontro e la condivisione; ma non solo, perché i santuari sono come batterie, che accumulano la fede di coloro che vi passano nel corso dei secoli, per poi ridonarla a chi viene dopo.

 È la fede quindi, in tutte le sue dimensioni, il tesoro di ogni santuario, il bene prezioso, da custodire e far fruttificare. Permettetemi, al riguardo, a mero titolo di esempio, la menzione di un piccolo segno di fede, grata e generosa, presente in tutti i santuari, gli ex voto, che varie volte compaiono in alcune delle pratiche di cui si occupa la Congregazione per il Clero. Gli ex voto sono un bene prezioso, non per il loro valore materiale – a volte reale – ma perché sono scrigni riempiti della fede di chi li ha donati. Essi vanno preservati con cura, lungi dalla tentazione di considerarli retaggio del passato e, magari, di volerli per forza “monetizzare”.

 Piuttosto, conviene che essi divengano occasione di catechesi, che si educhi il popolo di Dio a coglierne appieno il significato; essi erano un tempo grida disperate, di persone in preda alla sofferenza, poi aperte in un cantico di lode. Gli ex voto quindi costituiscono in certo modo il segno tangibile della fede di coloro che nel corso del tempo, magari dei secoli, hanno frequentato il santuario, arricchendolo del dono di sé.

 Intendiamoci, non è certo mia intenzione ridurre l’esperienza di fede a questo segni esteriori; semplicemente, mi piace pensare agli ex votocome a costante richiamo alla fede, per chi non l’ha mai conosciuta, per chi la cerca, per chi l’ha dimenticata o l’ha vista intiepidirsi. In ogni santuario, quindi, è Cristo stesso che ci attende, perché una volta in più, mettiamo la nostra vita nelle sue mani.

 b) Avamposto di misericordia. «L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia», come ha scritto Papa Francesco nella bolla di indizione dell’ormai imminente Giubileo (Misericordiae vultus, n. 10). Il nostro mondo ha speciale bisogno di fare nuovamente e abbondantemente esperienza della tenera misericordia di Dio, di recuperare questo specifico volto del nostro Dio. In questo senso proprio dai santuari può venire uno specifico servizio al Popolo di Dio, attraverso una cura del ministero della confessione sempre più attenta, come a volte nelle parrocchie non si riesce a fare.

 Offrendo un’ampia possibilità di accedere al sacramento della riconciliazione, i santuari possono costituire nel mondo un “avamposto della misericordia divina”. Dove è sempre più difficile ammettere di aver sbagliato, senza cercare giustificazioni o scuse.. dove anche la nostra pastorale rischia di diventare un “management pastorale” efficientista… dove la cura delle strutture a volte prevale sull’attenzione alle persone… qui i santuari possono offrire un’opportunità preziosa ai fedeli, per ristabilire le giuste priorità e per sperimentare la vicinanza di Dio.

 Dobbiamo ricordarci, e ricordare, che c’è un tesoro di grazia e di amore, messo da Dio a disposizione di tutti, a una sola condizione: chiederlo, con un cuore pentito e con il proposito di emendarsi e cambiare rotta di vita. Per questo è necessario che chi può dispensare questo tesoro lo faccia con generosità e piena dedizione; i sacerdoti, ministri della riconciliazione, sono chiamati a essere strumenti di Dio nell’elargire il perdono, intensa esperienza della misericordia divina.

 Infatti, i fedeli sanno che «nel sacramento della Riconciliazione Dio manda un fratello a portare il perdono, la sicurezza del perdono, a nome della Chiesa», come ha ricordato Papa Francesco (Udienza Generale del 20 novembre 2013) e, pertanto, occorre che noi sacerdoti, in special modo coloro che prestano servizio nei santuari,torniamo al confessionale, dedichiamo a questo ministero un tempo abbondante, sia per le nostre personali  necessità spirituali, sia per quelle dei fratelli che incontriamo. Come sacerdoti, siamo investiti di una speciale responsabilità e depositari di un dono grande da portare ai nostri fratelli!

 c) Luogo di preghiera. L’esperienza della misericordia di Dio ci fa ritornare al rapporto con Lui, ci permette di riprendere un cammino che il peccato, la tristezza o altre cause avevano interrotto. Perché tale rapporto possa poi crescere e rinsaldarsi, occorre mantenere aperto un dialogo e una comunicazione costante, come è la preghiera. Infatti, come ha ricordato Papa Francesco, «per ascoltare il Signore, bisogna imparare a contemplarlo, a percepire la sua presenza costante nella nostra vita; bisogna fermarsi a dialogare con Lui, dargli spazio con la preghiera» (Udienza Generale, 1° maggio 2013).

 Come tutti i rapporti, anche «la preghiera prende e richiede tempo. Infatti pregare è anche “negoziare” con Dio per ottenere quello che chiedo al Signore, ma soprattutto per conoscerlo meglio. Ne viene fuori una preghiera “come da un amico a un altro amico”» (Meditazione quotidiana, 3 aprile 2014); così si è espresso il Santo Padre per ricordare come la preghiera non sia un mero dovere dei cristiani, ma una esigenza dell’amore tra Dio e l’uomo.

 Sappiamo, per esperienza comune, che per poter dialogare con qualcuno, con le migliori disposizioni e in tranquillità, anche il luogo ha la sua importanza. Quindi mi piace pensare ai santuari anche come a luoghi che possono favorire incontro e dialogo con Dio e con i fratelli; il santuario è spesso un luogo appartato rispetto alla vita quotidiana e ai suoi ritmi, e recarsi ad esso dispone più facilmente alla preghiera, in tutte le sue forme.

 Infatti, il santuario può accogliere per una devota preghiera personale, di fronte all’immagine della Beata Vergine o di un Santo, o nel raccoglimento di una cappella del Santissimo. L’attività pastorale dei santuari può opportunamente comprendere vere “scuole di preghiera”, nelle quali i fedeli e i semplici passanti possono vedersi offrire gli strumenti e le occasioni per crescere nel loro rapporto col Signore.

 Non potrà poi mancare la preghiera comunitaria, facilmente occasionata dai pellegrinaggi di coloro che si recano in gruppo al santuario. Mi riferisco in primo luogo alla celebrazione della Santa Messa, in modo sobrio e dignitoso, e in orari che possano favorire la partecipazione di quante più persone possibile; è sempre Cristo il centro della vita di un santuario, è a Cristo che Maria e i Santi riconducono con il loro esempio e la loro intercessione.

 Proprio per questo, per questa centralità di Cristo, è bello e utile per i fedeli quando in un santuario è proposta l’adorazione eucaristica, anche per tempi prolungati, dal momento che non sempre nelle parrocchie è possibile farlo. Essa è più che una semplice devozione; è l’incontro con il Signore vivo e presente in mezzo a noi. Benedetto XVI ha descritto con chiarezza la bellezza dell’incontro tra Dio e l’uomo che avviene nell’adorazione e la naturale prosecuzione in essa di quanto celebrato nella Santa Messa; infatti, secondo le parole del Pontefice emerito, «nell’Eucarestia il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l’adorazione eucaristica non è che l’ovvio sviluppo della Celebrazione stessa, la quale è in sé il più grande atto di adorazione della Chiesa», aggiungendo anche che «l’atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto si è realizzato nella Celebrazione liturgica stessa» (Esortazione apostolica post-sinodale “Sacramentum Caritatis”, n. 66)».

Se dalle parole di Benedetto XVI abbiamo colto il richiamo alla necessità dell’adorazione, da quelle di Papa Francesco ci facciamo condurre all’essenza dell’atto di adorare e alla sua centralità per la vita cristiana: «Che cosa vuol dire allora adorare Dio? Significa imparare a stare con Lui, a fermarci a dialogare con Lui, sentendo che la sua presenza è la più vera, la più buona, la più importante di tutte. Adorare il Signore vuol dire dare a Lui il posto che deve avere; adorare il Signore vuol dire affermare, credere, non però semplicemente a parole, che Lui solo guida veramente la nostra vita; adorare il Signore vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia» (Omelia, 14 aprile 2013).

 Nel contesto della preghiera comunitaria nei santuari non può mancare la menzione della Liturgia delle Ore, la preghiera che accompagna la vita delle Chiesa come un respiro, e la recita delSanto Rosario, che è meditazione semplice della Parola di Dio e affidamento a Sua Madre; non a caso, Papa Francesco ha scritto che «il Rosario è la preghiera che accompagna sempre la mia vita; è anche la preghiera dei semplici e dei santi… è la preghiera del mio cuore», apponendo la sua dedica a un piccolo libro dedicato proprio a questa forma di preghiera (13 maggio 2014, Yohannes Gaid, «Il Rosario. Preghiera del cuore»).

 Permettetemi però anche un richiamo all’ambiente e al decoro del santuario, sempre a partire da un richiamo del Santo Padre, il quale, al termine di una Udienza Generale (7 gennaio 2015), ha ricordato «la bellezza di Dio. Tante volte noi ci dimentichiamo della bellezza!  L’umanità pensa, sente, fa, ma oggi ha tanto bisogno di bellezza». Nel pensare al santuario come luogo di preghiera non è possibile fare a meno di riferirsi anche a come si presenta il luogo e a quanto accogliente può essere.

 Quando attendiamo qualcuno a casa nostra, mettiamo la massima cura perché chi ci viene a trovare possa sentirsi a proprio agio, accolto, e possa cogliere la gioia che la sua visita ha procurato. Anche attraverso l’aspetto della nostra casa diciamo qualcosa di noi e dell’interesse che nutriamo per l’ospite. Credo che questo possa valere anche per un santuario, chiamato a risplendere di una sobria bellezza e di una semplice eleganza, capace di condurre il cuore dei fedeli a Dio, senza sfarzo e senza eccessi.

 In modo particolare, desidero rivolgere il pensiero alla decorazionedei santuari, alle tele, agli affreschi e alle statue che in essi trovano posto, proprio in riferimento al tema della preghiera. È bello leggere la Parola di Dio o le vite dei Santi, ma è altrettanto significativo trovarle “raccontate” attraverso le opere d’arte – non necessariamente preziose – che il santuario ospita. Per secoli la Chiesa ha trasmesso la fede al popolo – spesso analfabeta – in questo modo e oggi, in una cultura dell’immagine, è più che mai importante che non tralasciamo quella “catechesi narrativa” costituita dalla decorazione dei santuari. Penso alla fede dei semplici, o alla ricerca di coloro che sono più lontani dalla fede e “ignoranti” delle cose di Dio; entrare in un santuario e trovarsi circondati da immagini che parlano di Dio e del Vangelo, è in sé una catechesi e un primo apprendimento sui temi della fede. Un’immagine tocca tutti i livelli di una persona, da quello emotivo, per la reazione che genera, a quello intellettivo, per la comprensione che richiede, sino a quello spirituale, per elaborare il tutto alla luce della fede e delle sue domande. Permettetemi di dirlo, prestate grande cura a questo aspetto, si tratta di catechesi, non di forma!

 d) Fonte di evangelizzazione. Il percorso tratteggiato fino a qui ha ovviamente una meta naturale, quella affidata da Cristo alla Chiesa di tutti i tempi, cioè la missione evangelizzatrice; al servizio di essa anche i santuari hanno un ruolo e una parte specifica. La fede alimentata e ravvivata dalla frequentazione di un santuario non è fatta per restare un possesso privato, qualcosa che scalda il cuore, ma non incide sulla vita; riprendendo le parole del Santo Papa Giovanni Paolo II, «tale esperienza di Dio non si deve però esaurire nel santuario, essa deve determinare una svolta decisa, aprire un cammino nuovo di testimonianza nella vita di ogni giorno» (Giovanni Paolo II, Discorso ai Rettori dei Santuari mariani, 26 novembre 1987).

 In questo senso, quella del santuario è in certo modo un’esperienza affine a  quella dei discepoli sul Monte Tabor; è un momento intenso di contemplazione del mistero, di vicinanza a Dio, di fede calda e avvolgente, che, come nel caso di Pietro, potrebbe indurre a voler restare, a “fare tre tende”, dimenticando il mondo e l’annuncio del Regno. Mi capita a volte di ascoltare persone tornate da un pellegrinaggio in un santuario significativo che ne parlano con rimpianto, come a voler dire “là sì, che si riesce a pregare e a vivere la fede; nella vita quotidiana non è possibile!”.

 Credo che questa possa essere una tentazione insidiosa, il ritenere cioè che Dio sia vicino solo in determinati luoghi e a particolari condizioni, come se la quotidianità fosse nemica di ogni serio cammino di preghiera e di vita spirituale. La frequentazione del santuario è fatta per rilanciarci nella vita di ogni giorno, ci fa fare una più intensa esperienza di fede, perché possiamo continuare rafforzati nel nostro cammino di discepoli e darne testimonianza ai nostri fratelli. La fede non vive solo di grandi eventi e di momenti speciali, ma soprattutto di una umile e quotidiana fedeltà nell’ordinario alla chiamata del Signore.

 Abbiate perciò cura che le persone che incontrate nei vostri santuari non diventino, per così dire, “dipendenti” dall’esperienza di fede del santuario, ma sappiano trovare lì lo slancio per una rinnovata azione missionaria nel loro ambiente; il santuario è un “pedagogo”, non un onnipresente “tutore”, dal quale si resta dipendenti. Per questa via, allora, il santuario può diventare sempre più uno snodo fondamentale della nuova evangelizzazione, in special modo nel corso del Giubileo che ci apprestiamo a vivere, aiutando le persone a fare esperienza di quel Dio che potranno poi testimoniare con la loro vita.

 Ecco, ho cercato di esporre una visione integrale del santuario, presentata attraverso le quattro facce di un’unica realtà, alla quale ci si può riferire ugualmente per la ricerca e il sostegno della fede, per incontrare la misericordia di Dio, per trovare spazi di preghiera o per rinnovare lo slancio evangelizzatore. Mi piace richiamare al riguardo le parole di Benedetto XVI, secondo cui, «il Santuario come tale, come luogo di preghiera, di confessione, di celebrazione dell’Eucaristia, è un grande servizio, nella Chiesa di oggi… Quindi penso che l’essenziale servizio… è proprio quello di offrirsi come luogo di preghiera, di vita sacramentale e di vita di carità realizzata» (Incontro con i parroci e il clero della diocesi di Roma, 28 febbraio 2007).

 A conclusione di questa prolusione al vostro Convegno, mi piace citare il can. 1230 del Codice di diritto canonico: «Con il nome di santuario si intendono la chiesa o altro luogo sacro ove i fedeli, per un peculiare motivo di pietà, si recano numerosi in pellegrinaggio con l’approvazione dell’Ordinario del luogo»…non per richiamarvi all’osservanza di qualche norma trascurata, ma per riprendere gli elementi essenziali della realtà del santuario, efficacemente raccolti in quel canone: una manifestazione divina, riconosciuta dai fedeli attraverso i pellegrinaggi e confermata dai pastori.

 In modo particolare, mi preme sottolineare come sia il “fiuto” dei fedeli a dare forma concreta e a portare all’esistenza un santuario, riconoscendo l’azione di Dio in un determinato luogo. La fede del popolo intuisce un determinato richiamo da parte di Dio e risponde spontaneamente ad esso, attraverso quella bella esperienza di fede che è il pellegrinaggio, individuale o comunitario.

 Dio chiama, il popolo risponde; e lo fa attraverso una “spiritualità della strada”, che porta ad uscire da se stessi, che aiuta scoprirsi deboli e bisognosi degli altri e, proprio per questo, anche solidali con i poveri e i sofferenti. Sulla via del pellegrinaggio, la chiamata di Dio verso un determinato santuario diviene più udibile, le motivazioni della risposta si purificano e il cuore diviene sempre più disponibile a una nuova esperienza di fede personale, in vista dell’unica missione della Chiesa.

 Il sensus fidelium entra col tempo in dialogo con il discernimento del legittimi pastori, in modo che sia il Popolo di Dio, in tutte le sue componenti, ciascuno secondo le responsabilità che gli competono, a operare il discernimento necessario ad avvalorare un’esperienza di fede o a invitare alla prudenza nei confronti di essa. In questo senso, la realtà del santuario diviene anche una bella esperienza di dialogo e corresponsabilità ecclesiale, volta a far crescere i semi di fede che Dio semina nel mondo.

 Un ultimo pensiero benaugurante desidero rivolgere alla vostraAssociazione, lo strumento che permette a ciascuno di voi di non camminare da solo e, al contrario, di potersi arricchire dell’esperienza degli altri. In ogni diocesi italiana sono presenti uno o più santuari; essi sono segni dell’azione di Dio tra noi, memorie del suo amore fedele nel corso dei secoli. Se su una mappa unissimo con un tratto di penna tutti i santuari italiani, credo che alla fine avremmo una rete ben fitta, perché Dio vuol essere vicino; idealmente, potremmo considerarlo anche come una sorta di abbraccio che Dio dona alla nostra terra. Vi esorto a proseguire nella bella missione che avete intrapreso insieme, perché possiate essere una presenza capillare in mezzo al Popolo di Dio, alla luce dell’unica, grande esperienza di fede, che si irradia da tutti i vostri santuari.

 In conclusione di questa riflessione sulle tematiche proprie della realtà dei santuari, trovo pienamente attuali le parole rivolte dal Beato Paolo VI ai Rettori dei Santuari Mariani, al termine di una Udienza Generale, per esortarli a viene in pienezza la loro missione evangelizzatrice al servizio del Popolo di Dio e degli uomini tutti: «occorre uscire dalla routine della consuetudine intangibile, o dell’improvvisazione di comodo, o della fastosità che non lascia traccia. I fedeli, che accorrono ai Santuari, spinti dai motivi più vari – da quelli più tragici e sofferti fino a quelli artistici o turistici – hanno il diritto di trovare presso di voi l’appropriata assistenza spirituale, l’ordinata catechesi liturgica, l’educazione alla coscienza comunitaria; scocca per essi un’ora di grazia, che bisogna saper favorire e assecondare con i mezzi a disposizione, che sono numerosi e straordinari» (Paolo VI, Udienza Generale, 16 novembre 1966).

 Accogliamo con gioia quindi l’invito di Papa Francesco, a iniziare «un Anno Santo straordinario, dunque, per vivere nella vita di ogni giorno la misericordia che da sempre il Padre estende verso di noi. In questo Giubileo lasciamoci sorprendere da Dio. Lui non si stanca mai di spalancare la porta del suo cuore per ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la sua vita» (Bolla Misericordiae vultus, n. 25).

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